Sale e saline, alla scoperta di una storia millenaria che lega l’uomo al mare e ai suoi piccoli cristalli bianchi.

Sale e saline

All’interno della rassegna di letture in compagnia del Tirreno e dopo l’approfondimento sulla storia dei fari, una pagina dedicata al sale e alle saline, alla scoperta di una storia millenaria che lega l’uomo al mare e ai suoi piccoli cristalli bianchi.

Testi estratti da: Andare per saline di Roberto Carvelli, Saline e salinari di Maria Manuguerra, Sale del sole di di W.Leonardi e V.Manfredi.

Le saline rappresentano un paesaggio uguale a sé stesso nei millenni. Grandi vasche bianche o rosa, lunari o marziane a seconda del deposito, che raccontano di un’attività umana che pare quasi non abbia subito adeguamenti nel tempo. Forse è questo a fare del paesaggio delle saline un unicum antropico, oltre che un sito archeo-industriale naturale.

(Saline di Tarquinia, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )

Il sale per migliaia d’anni è stato sinonimo di ricchezza reale, ma anche simbolo di saggezza, intimità e convivialità. Il sale arricchisce le diete, nobilita le pietanze e aumenta la durata di conservazione di cibi soggetti a deperimento, aiutando l’uomo a sopravvivere a carestie e lunghi inverni.

Il sale era per gli antichi un meraviglioso dono della natura e degli dei. Conferiva sapore a qualunque vivanda. Mangiare un cibo cotto e salato era ciò che distingueva gli esseri umani dai bruti.

Salumi e formaggi – uno dei più riusciti esercizi di varietà e tipicità italiana – devono al sale la loro ragion d’essere. Il formaggio, di cui il sale è un ingrediente fondamentale, nacque proprio allo scopo di conservare il latte.

Il sale trova impiego anche fuori dalla cucina: nell’industria chimica, nella cosmetica, nella conceria. Ha un ruolo fondamentale nell’allevamento, per sopperire alle carenze minerali degli animali. Per le sue proprietà disinfettanti, costituisce la base per molti medicamenti.

Fotoracconto

Alcuni scatti alle saline siciliane.

Indietro nel tempo

Non si sa quando e come siano stati scoperti i poteri antisettici del sale, ma è probabile che ciò sia avvenuto per caso, come per la scoperta della ceramica. L’ipotesi più probabile è che qualche pescatore-raccoglitore preistorico abbia osservato che i corpi dei pesci, abbandonati sulla riva in luoghi coperti da uno strato di sale, non si decomponevano, ma si disseccavano e forse restavano in qualche modo commestibili. Comunque siano andate le cose, si ritiene che l’uso del sale come conservante, soprattutto per le carni e per il pesce, sia antichissimo: molto probabilmente risalirebbe al neolitico.

Gli antichi egizi usavano un particolare tipo di sale minerale, il natron, per mummificare i corpi dei defunti. Nei sacrifici religiosi, serviva a purificare, simbolicamente, la vittima prima dell’immolazione. L’antico sacerdote pagano mescolava la farina di farro al sale macinato e aspergeva, con questa mistura detta “mola salsa”, la fronte delle vittime, per renderle accette e gradite agli dei.

(il dio Anubi 1200 a.C.)

Nell’antica Grecia il pesce salato era un cibo comune e a buon mercato, consumato soprattutto dalle classi umili durante i mesi invernali, quando era difficile uscire a pesca per le condizioni avverse del mare.

Nel libro XI dell’Odissea, Ulisse evoca dall’Ade l’ombra del vate Tiresia, perché gli predica il futuro. Questi gli risponde con un’oscura profezia in cui, per indicare un luogo lontanissimo dal mare, l’eroe giungerà in un posto così remoto che incontrerà genti che non condiscono i cibi con il sale. Una distanza enorme per la mentalità di un greco, perché il sale marino, grazie alle carovane, raggiungeva comunità anche molto isolate.

“andrai lontano tanto che giungerai a genti che non condiscono i cibi con il sale” (Odissea)

(Ulisse, mosaico III sec. d.C.)

I Celti invece, e probabilmente anche gli Etruschi, salavano le carni, soprattutto di maiale. Nelle tombe di principi celtici del centro Europa sono state trovate ossa di coscia di suino, ossia di prosciutti, probabilmente deposti nella sepoltura come viatico per l’aldilà. A Bagnolo San Vito, vicino a Mantova, in un insediamento etrusco risalente al quinto secolo a.C., sono stati trovati sessantamila reperti di ossa di maiale, ma non un solo femore, dal che gli studiosi hanno dedotto che i prosciutti venivano esportati, forse in Gallia, ovviamente già salati e stagionati. Il sale in questo caso doveva arrivare, con ogni probabilità, dall’altra città etrusca di Spina, sull’Adriatico, trasportato su barche che risalivano il Po.

“gli abitanti (della Laguna di Venezia) hanno una risorsa, la grande abbondanza di pesce … Il loro lavoro consiste nello sfruttare le saline: invece di aratri e di falci, manovrano dei cilindri. Dalle saline traggono i loro raccolti, grazie alle saline possiedono ciò che non producono. La moneta che vi si batte è alimentare, in verità. La marea collabora alla loro arte. Si può fare a meno di cercare l’oro, ma non c’è nessuno che non desideri trovare il sale, e giustamente, poiché è a esso che, in questi luoghi, si deve il nutrimento.” (Cassiodoro, 537 d.c.)

I Romani ereditarono la tecnica della salatura delle carni e la usarono per la preparazione dei salumi: la nostra salsiccia discende dalla “salsa insicia”, un insaccato di carne tritata e salata. Roma aveva le sue saline a Ostia e una delle grandi strade consolari romane si chiama Salaria perché era utilizzata in particolare per il trasporto di questa merce.

(scena di pesca, III sec. d.C.)

Nell’antichità era la merce più preziosa, tanto che veniva spesso usata come mezzo di pagamento. La parola “salario” viene dal latino salarium e indica appunto lo stipendio di un operaio o di un bracciante. Anche oggi che il sale è diventato merce comune, è rimasto nell’immaginario: definiamo “salato” qualcosa che si vende a caro prezzo.

La religione cristiana ne coglieva l’assolutezza divina e la capacità di naturale transustanziazione, tanto da definire Cristo il sale della terra. Ancora oggi, il sacerdote che amministra il battesimo pone sulla lingua del bambino un po’ di sale, pronunciando le parole “accipe sal sapientiae“: ricevi il sale, simbolo della sapienza.

Sale della saggezza e sale curativo, cicatrizzante, ma anche sale della distruzione, quasi un incendio silenzioso. I romani spargevano sale sopra alle città rase al suolo, per impedire che vi potesse rinascere alcunché.

(produzione di sale, 1556)

Il sale era considerato così importante che, presso la maggior parte delle civiltà, venne associato al concetto stesso di intelligenza. L’aggettivo “sapido” divenne poi, in senso traslato “sapiente”, ossia, “saggio”. Per contro, il concetto di “insipido” venne associato a “sciocco”, “stupido”.

La sorgente principe di questo alimento è il mare e per gli antichi fu sempre un mistero insondabile il fatto che l’acqua marina fosse salata e quella dei fiumi no. Il concetto di “mare” e quello di “sale” erano talmente correlati che nel greco di Omero erano espressi con la stessa parola: “hals”. Le lettere che compongono questa parola sono comprese anche nel termine più arcaico “thalassa”, che significa sempre “mare”.

Vi fu un tempo, in cui il sale veniva raccolto nei punti in cui si depositava spontaneamente, ma poi l’uomo si rese conto che ciò avveniva in prossimità di stagni salmastri e di lagune costiere, dove cioè l’acqua del mare era molto bassa e il sole cocente. Ovviamente non conoscevano la dinamica di evaporazione-saturazione alla base delle saline, ma ne osservavano le pratiche conseguenze.

Quasi tutte le civiltà mediterranee che conosciamo furono quindi in grado di costruire saline. In sostanza si isolava una certa estensione di acque costiere con sbarramenti artificiali, così che il sole facesse evaporare l’acqua all’interno e precipitare il sale sul fondo. Quando l’acqua era completamente evaporata si provvedeva alla raccolta del sale.

(saline in Francia, 1880)

Saline in Italia

La comparsa delle saline in Italia sembra partire già dal neolitico. Etruschi e romani lo commerciavano ampiamente. Con le invasioni barbariche del IV secolo dopo Cristo il sale aumenta la sua popolarità: gli italici imparano dai celti come conservare la carne di maiale.

In Lombardia, nel 715 il re Liutprando emana un regolamento molto rigido sul commercio del sale. Nel IX secolo, con Carlo Magno si rinuncia al controllo pubblico sul sale e se ne lascia la responsabilità ai vassalli, laici o ecclesiastici. Molte saline, all’epoca, finiscono così per dipendere spesso dai conventi. Nascono monasteri per i quali il sale diventa una cospicua rendita.
Con il XI secolo, la produzione del sale torna in mano ai laici. In questo periodo nascono monopoli e gabelle.

I monopoli del sale, in vigore peraltro già dal periodo ellenistico e romano, nel Medioevo saranno esercitati direttamente dall’autorità pubblica o da privati. La coniazione delle monete e la produzione e vendita del sale passano alla storia per essere tra i più antichi monopoli. Venezia a Chioggia, Siena a Grosseto e Roma a Ostia creano le loro saline.

Per tutto il medioevo il sale fu elemento vitale per la sopravvivenza delle comunità: la maggior parte delle carni consumate in Europa erano infatti di suino, conservate salate come insaccati, pancette o prosciutti.

 

(conservazione del pesce, 1762 ca)

Anche il pesce si conservava sotto sale: il baccalà e lo stoccafisso venivano esportati dai paesi nordici in tutto il mondo, dentro a barili di abete dove si alternavano strati di pesce a strati di sale grosso. Tonni e anguille invece erano conservati in salamoia. Spesso gli impianti di conservazione sorgevano in prossimità delle stesse saline. Anche le olive si trattavano e tuttora si trattano in modo analogo.

La commercializzazione internazionale fu a lungo disputata fra le grandi potenze marinare dell’epoca. Venezia, a partire dal XIII secolo, si assicurò la distribuzione del sale pugliese all’interno dei mercati europei.

Per secoli la gestione del sale ha visto l’alternanza di monopoli e gabelle e il succedersi di diritti consuetudinari, controllo delle saline da parte di signori, enti ecclesiastici e Stati comunali, senza che mai si interrompesse l’attività di contrabbando.

Le donne siciliane di Bagnara Calabra, traghettavano il sale da Messina a Villa San Giovanni dopo averlo ottenuto al mercato nero in cambio di qualche cassetta di pesce.

(contrabbando del sale, Settimana Incom 1961)

Si dice che l’assassinio del padre di Giovanni Pascoli (tutti ricordano “la cavalla storna” e “X Agosto”) sarebbe avvenuto ad opera di un contrabbandiere di sale che lui aveva denunciato alle autorità, condannando alla fame la famiglia di quel disgraziato. A quell’epoca, infatti, i contrabbandieri, più che dei criminali, erano poveretti che, per sfuggire alla miseria, non avevano altra scelta che l’attività illegale.

Con la creazione dell’Italia moderna, per tentare di arginare il diffuso traffico illecito, il monopolio di sale e tabacchi venne trasferito allo stato, che lo gestì fino all’entrata in vigore delle norme comunitarie dell’Unione europea.

Fino al secondo dopoguerra la produzione del sale fu molto diffusa in Italia. Il panorama che ancora si può indovinare nelle stampe antiche, doveva essere di incredibile bellezza e suggestione. Niente case sbocconcellate, niente tralicci, niente ferrovie né auto, violenti testimoni di un’intrusione arrogante e pesante, opposta al modellamento garbato e discreto seguito dagli antichi nel costruire le saline.

Nella seconda metà del novecento, nelle saline si passa dal metodo a raccolta multipla a quello a raccolta unica, meccanizzato e concentrato in una sola raccolta annuale. Hanno il sopravvento i mezzi meccanici: le ceste che venivano caricate a spalla dai salinai sono state sostituite prima dalle carriole, poi da nastri trasportatori, ruspe, vagoncini, pale meccaniche. Ma anche oggi, che i mulini hanno lasciato il posto alle idrovore, tutto continua a lasciar percepire la scarsità dell’elemento forzoso.

(Saline del Poetto, Settimana Incom 1956)

Nel frattempo la produzione del sale si è ridotta notevolmente, soprattutto per la concorrenza di paesi in via di sviluppo, dove la mano d’opera costa molto meno. Scompaiono la figura del salinaro e le salinette a conduzione familiare, sostituite dalle grandi vasche di evaporazione e di raccolta. Alcune saline sono state abbandonate e l’unità del paesaggio costiero, con le sue liquide scacchiere multicolori e le vaste distese candide come la neve, è in parte compromessa.

Cristalli

“La salina non si può perdere, perché è l’unica opera dell’uomo che si è mantenuta per millenni senza soluzione di continuità. E il sale è, come il pane e come il vino, una delle componenti fondamentali della civiltà mediterranea. Bene umile e prezioso al tempo stesso, frutto di fatica silenziosa e ostinata, di gesti immutabili e senza tempo, esce dalle grandi macine di sasso ruotate dalla forza di quelle enormi braccia spalancate a raccogliere il vento. Il sale: perfino la parola è bella e sonora. Sa di mare, di vento e di sole.” (Valerio M. Manfredi)

Il sale marino è frutto di un processo di precipitazione chimica dall’acqua del mare. Un processo che ha bisogno di coste, sole, vento. Francia, Italia Spagna e Portogallo sono, per questa ragione, quattro delle nazioni a più alto sviluppo di produzione salina.

La dinamica della produzione del sale è semplice, quasi basilare: acqua più sole. Evaporazione, concentrazione, cristallizzazione sono le fasi principali di questa trasformazione.
Il processo stabilito dalla consuetudine fa sì che l’acqua marina venga convogliata in ampie vasche impermeabili, dove, all’evaporare dell’acqua, il sale cristallizza come deposito, finendo per disegnare quadri astratti di regolari sagome chiare.

(Saline di Savoia)

Il procedimento rimane molto naturale e questa naturalità riflette, tra le altre cose, la bassa e poco invasiva presenza di interventi umani nel procedimento di salinazione, che rende le saline il luogo più simile che ci possa essere a una spontanea oasi naturalistica. Specie in quelle progressivamente abbandonate, diventate nel tempo anti economiche.

La salina marina è costituita da una serie di vasche comunicanti, da quelle più vicine al mare a quelle più lontane. La struttura complessiva della salina trapanese comprende quattro ordini di vasche, a cui si aggiungono le vasche salanti, i “caseddri”, dove avviene la cristallizzazione del sale. Ad esclusione del primo, a livello del mare, le restanti sono a una quota superiore e digradanti, così da dirigere, per gravità, le acque verso le vasche terminali.

(Saline di Trapani, 1761)

Al primo ordine appartiene la “fridda” dove, aprendo una saracinesca, l’acqua entra direttamente dal mare. Appartengono pure al primo ordine i “vasi”, che insieme alla “fridda” vengono utilizzati per la coltivazione del pesce pregiato.
Al secondo ordine appartiene il “vasu cultivu”. A metà maggio, con l’azionamento dei mulini, viene riempito di acqua proveniente dalla fridda. Questo invaso e’ molto importante poiché funge da deposito delle “acque madri” ottenute nella campagna precedente, utilizzate come lievito nella coltivazione dell’anno successivo. Da qui in poi, l’acqua passa di vasca in vasca manovrando le chiuse di legno. Al terzo ordine appartengono le vasche intermedie, “ruffiana e ruffianeddra”. All’ultimo ordine appartengono i “cauri” e le “sintine”, dove l’acqua prende il nome di “acqua fatta”, ossia ad alta salinità.

Sin dai tempi antichi, i lavori di preparazione per la coltivazione del sale avevano inizio nella seconda decade di Marzo, anzi, come ricordano i vecchi salinai, il giorno dopo San Giuseppe. Il primo lavoro consisteva nello svuotare le vasche di tutte le acque che si erano accumulate durante i mesi invernali.

Inserite le chiuse per isolare le vasche dal mare, il loro prosciugamento (“assummari a salina”) avveniva tramite l’azionamento dei mulini.
La prima vasca che si puliva era la “fridda”, la più vicina al mare, la quale veniva immediatamente riempita di acqua marina, così da riattivare subito il processo di evaporazione, essenziale per la cristallizzazione del sale.
Operai presi a giornata procedevano alla riparazione delle vasche. In particolare, il fango misto a sale, la “mammacaura”, veniva ammucchiato dentro gli stessi invasi e lasciato ad asciugare. Una volta secco, veniva steso sopra l’argine per livellarlo e colmare le buche prodotte dalle piogge durante il periodo invernale. La “mammacaura” veniva inoltre stesa sul fondo delle vasche per compattarle e renderle impermeabili.
I lavori di sistemazione delle vasche procedevano fino a metà maggio. A quel punto la salina era pronta per iniziare il ciclo produttivo.

La profondità delle vasche diminuisce mano a mano, passando dal metro iniziale fino ai pochi centimetri dell’ultimo bacino, quello della raccolta. L’intensità della radiazione solare, unita al vento e al clima asciutto, permette l’evaporazione dell’acqua. Verso la fine di maggio, per effetto del caldo, l’acqua comincia ad evaporare più rapidamente, facendo aumentare la salinità. Si formano i primi cristalli di sale.

La misurazione del grado di salinità oggi viene effettuata con l’ausilio dell’aerometro dì Baumé, mentre nei tempi passati veniva affidata all’esperienza dei salinai, capaci di riconoscere il grado di salinità dalla fluidità, dalla untuosità, dal colore cangiante delle acque.

Quando metà dell’acqua è evaporata, solfati e carbonati, contaminanti il sale, si cristallizzano sul fondo delle vasche intermedie e da lì vengono rimossi.

(coltivazione del sale, 1940)

L`acqua di mare, diventata più concentrata, viene fatta passare nelle successive vasche evaporanti. Da qui prosegue nelle vasche salanti, dove comincia la precipitazione del cloruro di sodio, il sale.

Quando è stata raggiunta la concentrazione critica per la separazione del sale, le vasche salanti si tingono di rosso per la comparsa dell’alga Dunaliella, che sopravvive solo nelle soluzioni saline concentrate. Il sale è pronto per essere raccolto.

Nelle vasche salanti la concentrazione raggiungeva l’optimum per iniziare la concrezione del sale puro. Si mettevano quindi in funzione le chiuse in legno ed il liquido oleoso fluiva nelle vasche di cristallizzazione, dove l’acqua raggiungeva il massimo della salinità.
Ai primi di luglio si comincia a notare un ispessimento della crosta, che raggiungeva i 6-10 cm. E’ allora che i salinai iniziavano la raccolta, poiché oltre questo spessore comincerebbero a depositarsi i composti di magnesio, che intaccano la purezza del sale.
I salinai entravano nelle caselle e iniziavano a frantumare la crosta (“rumpiri u sali”), praticando delle canalizzazioni attraverso le quali le “acque matri”, venivano aspirate grazie ad una piccola coclea azionata a mano.

Finita questa fase, si procedeva all’accumulo del sale in piccoli mucchi lasciati a gocciolare. Le vasche di cristallizzazione assumevano l’aspetto di una scacchiera.

(piramidi, Leonardo Timpone)

La salina cambia aspetto: il bianco brillante delle vasche di cristallizzazione, dove il sale si forma, contrasta con le retrostanti vasche rossastre e quelle più lontane, di colore verdastro.

L’estrazione del sale dal fondo delle vasche è il momento più delicato del processo di ricavo: i cristalli devono avere tutti la stessa dimensione, di circa un centimetro. Chi li raccoglie deve fare la massima attenzione a non inquinarne la purezza con il fango sottostante.

La squadra di operai che raccoglieva e trasportava il sale lavorava a cottimo dall’alba al tramonto, divisa in due gruppi: la prima spalava il sale e riempiva le ceste; l’altra trasportava il sale fuori dalle vasche.
Ora cu l’havi salalina na cantatedda fazzu di matina, circanno di quariari; tri iddu nn’havi, forza, picciotti mei, e sunnu sei. Ti manciasti li sicci e li muletti si cuntu li carteddi fannu setti. Talia quantu è beddu stu picciottu aisa e metti ncoddu e sunnu ottu, mi pari c’un si movi e nni fa novi
(Ora chi ce l’ha salalina una cantatina mi faccio di mattina, cercando di scaldarmi; tre lui ne ha, forza, ragazzi miei, che sono già sei, Ti sei mangiato le seppie e i cefali se conto le ceste sono sette. Guarda quanto è bello questo ragazzo alza [la cesta], la mette sulle spalle e sono otto, mi sembra che non si muove e ne fa nove)

Il sale viene raccolto in grandi mucchi bianchi, caratteristici del paesaggio delle saline. La soluzione di cui sono impregnati i mucchi tende a scorrere verso il basso e, con le piogge, i sali più solubili vengono portati via lasciando il cloruro di sodio quasi in purezza. Da qui il bianco abbacinante delle piramidi.

Il sale marino diventa “integrale” se, una volta raccolto, viene lavato esclusivamente con acqua madre, un’acqua a concentrazione di salinità molto più alta di quella del mare e più bassa di quella del sale, ricchissima di oligoelementi e di sostanze benefiche per l’organismo.

Il lavoro dei caricatori era duro e faticoso. Il peso del carico e il liquido salmastro arrivavano a piagare le spalle se non si aveva l’accortezza di proteggerle con un sacco di juta o un cuscino di paglia. Il sale raccolto veniva disposto sopra l’argine, in cumuli a forma di prisma. Terminata la prima raccolta, iniziavano i preparativi per la raccolta successiva, verso la metà di agosto, a cui seguivano una terza e una quarta, condizioni climatiche permettendo.

(salinaio, 1956)

Il sale depositato sull’argine viene lasciato esposto alle prime piogge, che operano un benefico lavaggio, liberandolo dai sali di magnesio e da tutte le altre impurità. Verso la fine di novembre si ricoprono i cumuli con tegole di terracotta.

Del sale si usa dire che viene raccolto e non prodotto, perché nelle saline solari si ottiene con cicli lenti come quelli dell’agricoltura. I ritmi di lavoro sono più simili a quelli dei contadini, considerando la comune attenzione agli eventi meteorologici, oltre che alla stagionalità della raccolta.

Le condizioni climatiche sono importanti: le piogge eccessive nel periodo della lavorazione possono danneggiare la diluizione dell’acqua di mare nelle vasche e compromettere la stabilità delle piramidi innalzate, non senza fatica, per la raccolta.

Alle prime piogge autunnali, i salinai toglievano le saracinesche mettendo in comunicazione tutte le vasche; quindi riponevano gli attrezzi nei magazzini e l’attività nella salina cessava fino all’arrivo del mese di marzo, quando iniziava un nuovo ciclo produttivo.

La vendita del sale cominciava solo verso il mese di aprile. Il prodotto seguiva due vie, quella del consumo locale e quella dell’esportazione. Il sale destinato al consumo locale veniva caricato sui carretti e trasportato ai mulini all’interno delle stesse saline, per essere frantumato nella macina in pietra azionata dal mulino stesso. Il prodotto raffinato si conservava nei magazzini.

Sale e Salinai

“Povera e numerosa era la famiglia del salinaro, raccolta come una tribù di selvaggi in certe catapecchie davanti alle quali il mare, nei giorni burrascosi, appariva come uno straccio sporco sbattuto dal vento, e d’estate le saline, simili a cave di calce, bruciavano gli occhi a chi le fissava. L’uomo e i figli più grandetti lavoravano laggiù, mangiati dal sale e dalla malaria.” Grazia Deledda

Nelle saline solo pochi lavoratori venivano impiegati per l’intero arco dell’anno: fra questi il curatolo e il mulinaru . Tutti gli altri erano precari, stagionali e provenivano in massima parte dalla campagna, quando cessavano i lavori agricoli.

(Salanitro, Patrizia Galia)

Il curatolo costituiva la figura più importante nel mondo della salina. Era uomo di fiducia del proprietario, direttore dei lavori sia tecnici che organizzativi. Abitava nella stessa salina, nella casa che, nel periodo della raccolta del sale, veniva adibita anche ad alloggio del proprietario, quando questi veniva a seguire i lavori. Il curatolo riceveva dal proprietario un compenso fisso mensile, al quale si aggiungeva il gratuito uso dell’abitazione e del terreno adiacente, che provvedeva a coltivare. Percepiva inoltre una percentuale sul raccolto del sale.

Era responsabile di tutto l’impianto nonché della produzione e teneva la contabilità. Pagava gli operai e gestiva le somme di denaro necessarie per la manutenzione della salina. Il prestigio del curatolo andava oltre il mondo della salina: egli, infatti, godeva di stima e di considerazione anche nella società. Nelle saline più grandi il curatolo era coadiuvato dal sottocuratolo.

I lavoratori stagionali venivano assunti verso i primi di luglio, con il compito di rompere la crosta del sale e ammucchiarlo, per essere successivamente trasportato sugli argini. Questi percepivano una paga mensile e rimanevano a lavorare nella salina fino alla chiusura della campagna. Infatti, subito dopo la raccolta del sale, era loro compito pulire i canali, sistemare gli invasi, coprire con le tegole i grossi cumuli di sale ammucchiato sugli argini.

Per la raccolta del sale, il curatolo ingaggiava una squadra di salinai, la venna, che avevano il compito di trasferirlo dalle vasche agli argini. Responsabile della squadra era il capovenna. Il signaturi, uomo di fiducia del curatolo e dal capovenna, aveva invece il compito di tenere conto della quantità di sale movimentata, registrando il numero delle ceste di sale trasportate.

(a piene mani, Leonardo Timpone)

Per rendere meno faticoso il lavoro della venna, un operaio aveva il compito di stendere delle tavole di legno lungo il percorso che dalle vasche di cristallizzazione portava fin sopra gli argini, e man mano che il cumulo si ingrossava, predisponeva delle scale in legno per agevolare la salita dei salinai e lo scarico della cesta piena di sale.

(trasferimento sugli argini)

Oltre a questi uomini, forti e temprati alla fatica, nella salina lavoravano anche l’acquarolu ed il baddraronzularu, ragazzi di 10 anni che iniziavano il loro contatto con il mondo della salina.

Il primo aveva il compito di provvedere all’approvvigionamento e alla distribuzione dell’acqua potabile, che si procurava dalla cisterna più vicina alla salina, sita nella casa padronale. L’acqua era trasportata in un recipiente di terracotta fin sul posto dove si trovavano i salinai, e da questi il ragazzo riceveva qualche spicciolo.

Il secondo aveva il compito di raccogliere dai cumuli di sale i pezzetti di fango misti al sale che si attaccavano ai piedi dei salinai e si depositavano sui cumuli. Anche lui riceveva una modesta paga dal proprietario, che aveva interesse che il sale fosse puro.

Mulini

(mulino olandese, 1935)

I mulini sono macchine ecologiche: trasformano la forza dei venti in energia meccanica. Erano collocati subito dopo il primo ordine di vasche, per pompare l’acqua oltre il dislivello a cui si trovano gli invasi interni. In aggiunta, venivano impiegati anche per azionare le macine durante il processo di raffinazione dei cristalli di sale, al termine del raccolto.

La gestione del mulino era di pertinenza del mulinaro. Una sorta di direttore tecnico, ma anche di meteorologo. In base ai venti, doveva infatti orientare le pale, smontando e rimontando le vele, mpaiari u mulinu, perché avessero la necessaria inclinazione, purtari a ventu u mulinu.

(Mulini allo stagnone di Marsala, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )

I venti più propizi sono generalmente quelli caldi e secchi del terzo quadrante, poiché facilitano evaporazione ed asciugatura. Lo scirocco invece trasporta le polveri del deserto, che possono alterare la purezza e il candore del sale.

Il lavoro del molinaro era di responsabilità e ad alto rischio: grazie alle sue capacità, doveva infatti intuire con un certo anticipo il mutare della direzione del vento, per predisporre in tempo la nuova posizione delle pale. Un ritardo avrebbe potuto comportare il cedimento delle pale e, nei casi più gravi, l’abbattimento della cupola. Per i rischi che affrontava, percepiva una paga superiore a quella del semplice salinaio.

I mulini che si vedono nelle saline sono di due tipi: l’olandese, dotato di grosse pale in legno, e l’americano, con pale metalliche, che ha sostituito il primo nella seconda meta’ del ‘900. L’innovazione sostanziale consiste nel materiale usato: il metallo al posto del legno. Inoltre, una volta sbloccato, grazie ad un sistema ingegnoso, si orienta automaticamente nella direzione del vento, rivelandosi meno impegnativo sia nella gestione che nella manutenzione.

(mulino americano, 1965)

Nelle saline ancora in funzione, l’acqua viene oramai travasata grazie a pompe elettriche, spesso localizzate nella stessa sede del mulino, decretando l’abbandono di tutta la struttura superiore. In aggiunta, con l’espansione della città, le saline in buona parte sono state assorbite dal tessuto urbano, talvolta dismesse ed interrate per fare spazio a nuovi quartieri. I mulini, che per secoli hanno caratterizzato il paesaggio delle saline, sono stati lentamente decimati. Quelli rimasti, erosi dal tempo e dagli agenti atmosferici, rimangono a testimonianza delle passate stagioni.

Turismo

Alcune saline resistono grazie alla qualità del sale coltivato e ai percorsi turistici attivati. Sono l’esempio di come un paesaggio millenario, salvato dal degrado e dall’abbandono, possa sopravvivere autonomamente anche a livello economico, nonostante tutto.

L’attività estrattiva si armonizza con la proposta turistica e l’iniziativa culturale. Oltre alle Saline di Trapani, ricordiamo quelle di Margherita di Savoia in Puglia, le saline di Cervia nel delta del Po, quelle di Santa Gilla a Cagliari, le saline di salgemma a Volterra.

(Museo del Sale Ettore Infersa, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )

Saline tirreniche

La storia documenta coltivazioni di sale diffuse lungo la costa italiane, ma pochissime hanno superato il tempo, coinvolte – loro malgrado – in azioni di bonifica e cementificazione che le hanno cancellate dal territorio. Lungo il Tirreno, due testimonianze sopravvivono nel loro splendore: le saline di Trapani e quelle di Tarquinia, legate tra di loro più di quanto si possa pensare.

In Sicilia si trova una considerevole porzione di archeologia – anche industriale – del sale. Sembra infatti che la zona di Trapani sia fra le migliori al mondo per la coltivazione del sale, per una serie di condizioni particolarmente favorevoli, quali la ventilazione costante ed intensa che aiuta l’evaporazione, l’insolazione formidabile, il fondo argilloso del terreno costiero che lo rende impermeabile così che l’acqua non si disperda nel sottosuolo. Inoltre, l’acqua del Mediterraneo, che per sua natura ha una salinità piuttosto elevata, qui si adagia in vaste lagune interne, come il famoso Stagnone di Marsala.

Le scarse precipitazioni atmosferiche, le elevate temperature, che si protraggono per lunghi mesi, e la presenza continua dei venti, favoriscono l’evaporazione per un periodo molto lungo (circa sei mesi all’anno).

Le saline risalgono all’età fenicia, greca e romana, e  si può dire che, nella produzione di questo alimento, fino ai nostri giorni non vi sia mai stata soluzione di continuità. Nel Medioevo, il sale di Trapani era conosciuto in tutta Europa.

(porto di Trapani, fine ‘800)

Dopo l’unificazione del Regno d’italia, le saline esistenti erano 31, di cui 20 nel territorio di Trapani e Paceco e 11 in quello di Marsala: occupavano una superficie complessiva di 850 ettari, con una produzione di 110.000 tonnellate l’anno, di cui 75.000 venivano esportate.

L’immaginario visivo delle saline trapanesi è stato oggetto da sempre di arte figurativa astratta. L’olio su tela di Antonino Leto, pittore verista siciliano di scuola macchiaiola, è alla Galleria d’arte moderna di Palermo a mostrarci tutta l’arte dei salinari.

(Saline di Trapani, Antonio Leto, 1881)

Ancora alla metà del secolo scorso, le saline costituivano la spina dorsale dell’ economia di questi luoghi. Tutta l’area costiera era una immensa scacchiera di caselle quadrate, le “casedde”, delimitate da arginature e costellate di un gran numero di mulini a vento. Nelle saline di Trapani, ancora attive e dislocate per oltre 100 ettari lungo la fascia costiera fra Trapani e Marsala, il sale si continua a raccogliere a mano, anche se la produzione maggiore è figlia del processo industrializzato della Sosalt, esportato in 32 paesi.

Risalendo il Tirreno, Tarquinia ebbe la fortuna di diventare il baricentro della storia del sale, grazie a Pio VII e a un piccolo imprenditore trapanese, Giuseppe Lipari, che agli inizi dell’ottocento aveva presentato la richiesta di realizzare di un bacino di salinatura simile a quello di Trapani.

Secondo l’imprenditore, la produzione di sale avrebbe coperto il consumo di Roma e delle province del versante tirrenico degli Appennini. In realtà i ricavi furono di gran lunga inferiori. Non si tenne infatti conto delle differenze con Trapani: clima, insolazione, salinità del mare.

Le saline persero progressivamente d’importanza, facendo tramontare l’idea di rifornire Roma e l’area tirrenica. Nel 1997 la produzione si interrompe definitivamente, lasciando spazio all’area naturale visitabile pedalando lungo la prima tappa laziale della futura ciclovia tirrenica.

(Saline di Tarquinia, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )

Approfondimenti

> Quanti simboli, quante memorie, quanti ricordi fioriscono con la vicinanza del mare? Siete anche voi affascinati dai segni che il tempo e lo spazio hanno disseminato lungo il Tirreno? Aiutateci ad arricchire questo capitolo, perchè le storie tornino a parlare.

Saline nel Mediterraneo

Lungo le coste del Mediterraneo sono state censite circa 170 saline di cui 72 attive. La dismissione di un centinaio di saline, della loro storia e delle maestranze che da esse traevano il “salario” è un segno dei tempi: la globalizzazione della produzione del sale e la scarsa competitività degli impianti esistenti ha trasformato interi territori. Queste aree, nonostante e forse proprio a causa di questa trasformazione, sono diventate poli di attrazione per il turismo di qualità che qui cerca silenzio, natura e profumi altrove introvabili.  (da Magazine Parchilazio n.10 del 28.11.2016)

Fauna

Testo estratto da un pannello in loco.

Le saline di Trapani e Paceco sono situate lungo una delle più importanti rotte migratorie dell’avifauna. In questa vasta area umida, in primavera e in autunno  gli uccelli trovano riparo e cibo prima di riprendere il lungo volo migratorio. Anche in inverno molte sono le specie che affollano le vasche delle saline, dove trascorrono l’intera stagione.

Sono oltre 200 le specie ornitiche censite, tra le quali spiccano il Fenicottero Rosa, la Spatola, l’Avocetta, il Cavaliere d’Italia, la Volpoca, il Fratino, il Fraticello e la Garzetta.

L’elevato numero di uccelli osservabili è legato alla presenza di bacini a diversi livelli di profondità, in grado di soddisfare le abitudini alimentari delle varie specie. Nelle zone di acque basse si trovano Pettegole, Pivieri e Piovanelli; nelle zone di acque alte Germani, Folaghe ma anche Fenicotteri Rosa e Aironi. Un elevato numero di specie ricerca il cibo nel fango lungo i bordi delle vasche. Il canneto dà rifugio al Tarabuso, mentre nei pantani si osservano le Pavoncelle.

Le vasche brulicano di vita: nell’acqua bassa vivono policheti, molluschi bivalvi, larve di insetti. Nei canali è possibile trovare I’Aphanius fasciatus, pesce tipico di aree salmastre. Nelle vasche contenenti acque ad elevata salinità vive una microscopica alga verde unicellulare, la Dunaliella salina. Essa è preda dell’Artemia salina, crostaceo primitivo  a sua volta nutrimento del Fenicottero Rosa, che deve il caratteristico colore ai carotenoidi prodotti dalla Dunaliella.

(fenicotteri alle saline di Molentargius)

I Fenicotteri che giungono alla riserva provengono da Turchia, Algeria, Spagna, Francia e Italia. I dati derivano dalla lettura degli anelli numerati posti sulle zampe, leggibili a distanza con un cannocchiale. L’inanellamento avviene nei siti di nidificazione, quando i giovani non sono ancora in grado di volare. Tale pratica si è rivelata estremamente utile per il monitoraggio del contingenti migratori europei, consentendo di conoscere gli spostamenti e le abitudini della specie.

Fenicotteri

Vederli planare, dal cielo, in gruppo nelle basse acque della salina è uno spettacolo difficile da dimenticare, soprattutto la mattina presto, circondati dal silenzio e dalla brezza marina. Nel corso della giornata, in pieno sole, diventano più elusivi e preferiscono spostarsi nelle vasche più meridionali, meno disturbate dal passaggio delle macchine e dei visitatori. Qui, la presenza dei fenicotteri è ben nota a chi frequenta questi luoghi: ne conosce l’arrivo e la partenza e il loro volo a “V”. segue…

Tonni e sale

Non le penne di Strabonio e Tolomeo, ma le pinne dei tonni disegnarono le mappe del Mediterraneo. Gli uomini li seguivano per fame, certo, essendo quella una delle carni più nutrienti del creato. Ma non solo per fame. Colonie ed empori vennero fondati ovunque, sulla scia dei pinnuti; e soprattutto saline. Perché i tonni in foia portavano i loro inseguitori ai mari più salati: e il sale, l’arte della salamoia, preservando per mesi quei pesci e altri cibi, un bel giorno consentì traversate lunghissime, senza più tanti scali, da un capo all’altro del mondo conosciuto. segue…

(cratere del venditore di tonno, IV sec a.c.)

Ercole e il sale

Le antiche comunità di pastori vivevano seguendo le greggi alla perenne ricerca di cibo, a seconda del variare del clima. Dai monti dell’entroterra, dove durante la bella stagione non mancavano pascoli e foreste ombrose, scendevano alle pianure costiere, dove il clima più dolce forniva pascoli invernali.

La vicinanza del mare aveva anche un altro vantaggio: si poteva più facilmente trovare il sale, indispensabile integratore alimentare per uomini e animali e conservante insostituibile per carne, pesce e formaggi. Per questo motivo, tra le innumerevoli pianure costiere che la Penisola poteva offrire, le preferite dai pastori erano quelle in cui la conformazione dei suoli, spesso per la presenza di zone acquitrinose in corrispondenza di foci fluviali, aveva consentito la formazione di saline.

La Puglia è stata per millenni meta della transumanza invernale delle greggi che pascolavano in estate sull’Appennino centro-meridionale; e infatti la regione non solo offre ricchi pascoli invernali, ma è ricca di saline litoranee, come quelle celebri di Margherita di Savoia, presso l’antica Salapia, dal nome eloquentissimo.

(Eracle atterra il leone di Nemea, 510 a. C. ca.)

Anche le basse terre costiere degli Etruschi offrivano riparo dai freddi inverni e facile rifornimento di sale ai pastori dell’entroterra appenninico. Persino Pompei dovette la sua strategica posizione (rivelatasi poi tragica) presso la foce del fiume Sarno proprio alle contigue saline, che attirarono i primi frequentatori della zona. Qui si venerava il dio Ercole, il divino pastore-protettore delle greggi e delle merci da rapinatori umani e animali.

Questo rapporto con un fiume, Ercole e la transumanza spiega anche il più illustre caso in cui il sale ha giocato un ruolo determinante: quello di Roma. Occorre ricordare che Roma nacque proprio in prossimità di un facile guado del Tevere (vicino all’isola Tiberina), dove la Via Campana, cioè quella proveniente dal Campus Salininiensis (le antichissime saline di Ostia), passava all’altra sponda e, assumendo il nome di Via Salaria, proseguiva verso l’entroterra sabino. Proprio in prossimità del guado si praticavano in epoca antichissima il mercato del sale e del bestiame (Foro Boario) e uno dei più importanti culti di Ercole, quello dell’Ara Maxima.

Sarebbe assurdo pretendere che Roma debba la sua grandezza solamente e unicamente alla sua “strategia del sale”… ma si può affermare senza esagerazione che senza le paludi salate di Ostia, Roma non sarebbe mai divenuta la capitale di un grande impero e che, probabilmente, non sarebbe mai esistita” segue…

(Ercole e Caco)

Zone umide

> Laghi, torbiere, fiumi e foci, stagni e lagune, paludi salmastre e litorali. Le zone umide rivestono una notevole importanza per garantire biodiversità e resilienza. Metà delle zone umide del mondo sono state perse e la maggior parte delle distruzioni sono avvenute negli ultimi 50 anni. Partiamo alla scoperta di quelle che continuano a vivere lungo il Tirreno. segue...

Extra

Tour360 Saline di Tarquinia

Il tour immersivo dedicato alla Salina di Tarquinia, per ammirare le bellezze dei luoghi a tutto tondo. Vai al tour…

Letture

> Mostri marini, saline, bonifiche, colonie estive, divinità, boom economico, idrovolanti, ferrovie, ... letture da sfogliare nelle pedalate lungo il Tirreno segue...

Percorsi tematici

> Il Tirreno è un teatro che racconta mille incontri. Le memorie storiche si intrecciano con gli scenari naturali, imprimendo a terra tracce da rievocare, un pedale alla volta. Seguendo in bici il mare e i suoi tematismi. Spiagge, fari, pinete, zone umide, promontori, miniere, …. quante storie siete pronti ad ascoltare? segue...

In bici da Tarquinia a S.Severa

La tappa da Tarquinia a Santa Severa coinvolge Tarquinia, Civitavecchia, Santa Marinella e Santa Severa, le saline di Tarquinia, la foce del Mignone e il monumento naturale “La Frasca”. Il percorso è agganciato alle stazioni ferroviarie di Tarquinia, Civitavecchia, Santa Marinella e Santa Severa. segue…

ProgettoZERO

> Un progetto nato dal basso, che aggrega informazioni per partire in bici in compagnia del Tirreno. In attesa di un sito ufficiale che ci lasci liberi di pedalare, aiutateci a rendere questo spazio utile a tutti coloro in cerca di itinerari da Ventimiglia a Roma (...e oltre) segue...

TirrenicaExtra

> Il progetto ufficiale della futura Ciclovia Tirrenica al momento parte da Ventimiglia e finisce a Roma. Noi, dal basso, proviamo a raccogliere spunti preziosi anche su altri percorsi che coinvolgono il Tirreno. segue...

Il vostro contributo

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(Saline di Tarquinia, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )

Sale e Saline
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