Mostri Marini

All’interno della rassegna di letture in compagnia del Tirreno e dopo l’approfondimento sulle saline, una pagina dedicata alle creature fantastiche che popolano gli abissi.

Testi estratti da:  “Mostri e Rostri”, area museale tonnare di Favignana e “I mostri dell’occidente medievale”, Sara Sebenico.

I luoghi “estremi” sono l’habitat privilegiato dove insediare mostri e misteriose presenze. Le profondità marine, in particolare, hanno da sempre fornito sfondo e materia prima per ogni genere di rappresentazione fantastica e, almeno fino al XIV secolo, sono lo spazio di ogni pericolo.

In quasi tutte le cosmografie del pianeta, la Terra è immaginata come un’isola galleggiante. L’Okeanos greco, il divino mare oscuro, progenitore degli dei, é anche il mare della morte, il “fiume” che circonda i continenti della terra, come pure la dimora di bestie fantastiche.

(carta di Ecateo, 500 a.C.)

Oceano ha il doppio ruolo di portatore di vita e di morte, distruzione e ricchezza. Esso è il luogo dell’ignoto, dove agiscono forze sconosciute che si impadroniscono degli uomini.

Come tutti i mondi “altri”, anche il mare finisce per accogliere, dell’umanità, i desideri sconfinati, le preoccupazioni inconsce, gli slanci appassionati, le disfatte memorabili. Medium di avventure e connessioni, commerci ed esplorazioni, è lo specchio dei nostri mondi interiori, con tutto il loro potere destabilizzante.

(Theatrum orbis terrarum, Ortelius, 1579)

Emblematico il peregrinare di Ulisse, protagonista di innumerevoli ostacoli, tempeste, situazioni impossibili. Soltanto intelligenza e coraggio gli consentiranno di salvarsi.

Da un millennio all’altro, attraversando epoche, continenti, racconti, culture. Reale e immaginario si fondono in un mondo parallelo popolato di strane apparizioni. Sirene, tritoni, nereidi, serpenti enormi, calamari giganti e Kraken inseguono i marinai dalla notte dei tempi, lasciandoci in eredità un universo tutto ancora da decifrare.

(kraken, Denys de Montfort, 1802)

Dai popoli mitologici all’era digitale, un polimorfico bestiario di acquerelli e scritture continua a proporci mostri marini e creature fluviali, spiriti malefici ed esseri fantastici che, a dispetto di scienza e ragione, non abbiamo mai smesso di evocare, interrogare, combattere, sfuggire con formule, rituali, preghiere, liturgie.

(creature mitiche, Bertuch, 1806)

Sirene

Tra i mostri marini nati dalla mente dell’uomo, un posto privilegiato occupano le Sirene. Il mito di esseri per metà umani e per metà pesci si ripete in tutto il mondo, ma nell’area europea esso ha una sua storia particolare: nessun altro mostro come la sirena è stato soggetto nel corso del tempo ad una trasformazione così complessa, sia nell’aspetto fisico che nelle valenze simboliche.

(sirena di terracotta 500 a.C.)

Creature figlie di Archeloo, nella mitologia greca sono fanciulle alate, con la metà inferiore del corpo ricoperta di piume, spesso associate alle Erinni, divinità del mondo sotterraneo, punitrici di coloro che infrangevano l’ordine morale. Entrambe erano percepite come afferenti alla sfera della morte.

«le Sirene lo incantano con limpido canto,
adagiate sul prato: intorno è un mucchio di ossa
di uomini putridi, con la pelle che raggrinza»
(Omero, Odissea, XII, vv. 39-46).

La radice “sir”, di origine semitica del nome, forse è relativa alla parola “canto”, collegata all’altra caratteristica che ne definisce la connotazione mitica più nota: ammaliatrici. Fino ai nostri giorni, infatti, il loro canto irresistibile provocava invariabilmente la morte degli stessi naviganti. Nessuno sopravviveva all’ascolto di esso, tranne Ulisse, grazie allo stratagemma suggeritogli dalla maga Circe.

La stessa prova di resistenza al canto delle sirene pare sia stata superata anche da Giasone, nel ritorno con gli argonauti dalla Colchide. Ma in quella specifica occasione fu il divino suono della cetra di Orfeo che salvò gli eroi da morte certa.

Per raggiungere il dono della conoscenza, sia Ulisse che gli Argonauti viaggiano sfidando ogni pericolo del mare e affrontando prove sempre più difficili. E’ un percorso iniziatico che passa inevitabilmente attraverso vari stadi, fino ad arrivare alla meta.

(Ulisse e le Sirene, V sec a.C.)

Secondo il mito greco, le sirene, pur essendo immortali, una volta che Ulisse supera la prova si suicidano perché hanno esaurito il ruolo di detentrici esclusive della conoscenza assoluta. La loro morte è quasi una trasformazione: dà vita alla fondazione di città, creando un nuovo corso.

Ulisse diventa il paradigma dell’umanità impegnata nel faticoso cammino che sfida il mare per la conquista di nuovi traguardi di conoscenza. Allo stesso modo gli Argonàuti: la ricerca del vello d’oro racconta il proposito di imparare le tecniche della coltivazione del grano, che gli antichi Eleni si procuravano sulle coste meridionali del Mar Nero. La vera essenza del gesto sta quindi nella motivazione profonda per cui Giasone ruba il vello d’oro: guadagnare il segreto dell’agricoltura.

Omero non descrive fisicamente le sirene, ma numerose raffigurazioni vascolari e scultoree ne testimoniano la forma ibrida, con il corpo di uccello e la testa di donna.

(Ba egiziana, II sec A.C.)

Nel mondo antico sono prive di qualsiasi attrattiva fisica: la poesia esalta la potenza del loro canto e l’arte figurativa ne rivela le difformità dell’aspetto. Questa forma, che deriva dalle raffigurazioni egiziane di Ba, l’anima-uccello del defunto, nel tempo attenua i suoi caratteri ornitomorfi e si umanizza: compaiono le braccia umane, il seno e poi tutto il busto. Solo le zampe rimangono a forma d’uccello.

La raffigurazione della sirena come donna-uccello si ripete dall’arte bizantina a quella copta, dall’arte musulmana a quella romanica, fino a quella rinascimentale. A volte le sirene sono addirittura rappresentate con la parte inferiore del corpo a forma di uovo.

(sirena e centauro 1270)

Le due uniche testimonianze che ci sono giunte dall’antichità sulla sirena-pesce sono un vaso di Megara del II secolo a.C. e una lampada romana del I-II secolo d.C., anche se la donna pesce è già presente nell’iconografia assirobabilonese e successivamente nell’arte figurativa greco-romana, dove rappresenta le divinità acquatiche dei tritoni.

Nell’Alto Medioevo, la sirena perde definitivamente le ali a favore della squamosa coda di pesce.

«Le sirene sono fanciulle marine che ingannano i naviganti con il loro bellissimo aspetto ed allettandoli col canto; e dal capo fino all’ombelico hanno corpo di vergine e sono in tutto simili alla specie umana; ma hanno squamose code di pesce che celano sempre nei gorghi» (Liber monstrorum, VIII secolo ca.)

(sirena bicaudata XI sec)

Ispirandosi a scrittori pagani che l’hanno paragonata a una prostituta, i Padri della Chiesa fanno diventare la sirena medievale il simbolo della seduzione femminile, della lussuria e della sensualità. Dalla tentazione intellettuale dell’antichità, si passa alla tentazione dei sensi.

Con l’emergere della componente sessuale, del tutto assente nell’antichità, l’aspetto della sirena medievale si trasforma. I capelli fluenti esaltano la bellezza seducente, lo specchio in mano simboleggia la vanità.

(Sirena, Luttrell Psalter, XII sec)

Anche il motivo della nave e del mito di Ulisse viene reinterpretato all’interno di un simbolismo di carattere teologico e morale: la vita del cristiano è un viaggio sul mare infido, verso il porto finale, la vita eterna. La nave che lo trasporta è la Chiesa, l’albero maestro è la Croce, alla quale occorre essere legati, come Ulisse, per non cedere alle lusinghe delle sirene, simbolo delle eresie e del piacere mondano.

(sirena da un bestiario medievale)

La funzione della figura della sirena é complessa e profondamente radicata nell’immaginario collettivo. Non si è mai esaurita, proprio perché rappresenta ancora valori fondanti posti a tutt’oggi alla base della civiltà, connessi con la conoscenza iniziatica che, acquisita per gradi, porta idealmente alla conquista di verità e libertà.

(Ulisse e le sirene, Waterhouse, 1891)

Origini antiche

I mostri sono vecchi quanto l’umanità. La cultura mesopotamica produce numerosi amuleti e statuine che raffigurano corpi umani con teste animali, ali e piedi artigliati.

(Animale alato, Iran, 3000 a.C.)

La religione dell’epoca neosumerica (2100-1800 a.C.) elabora tutta una serie di spiriti cattivi e demoni, tra cui si distinguono quelli a forma di drago. Queste creature sono poste in una posizione intermedia tra gli dei e gli esseri umani. Si credeva abitassero tanto l’inferno quanto i luoghi più lontani e desolati della terra, come oceani, deserti, montagne.

I Babilonesi hanno tori alati androcefali, grifoni e draghi, collocati spesso alle entrate dei palazzi per esorcizzare gli spiriti maligni. Nell’antico Egitto sono molte le divinità mostruose rappresentate negli affreschi, nei rotoli dei papiri, nei monumenti funebri, nelle sculture.

(Sfinge, 530 a.C.)

Per gli antichi, impadronirsi, anche simbolicamente, di un animale, significa acquisirne le virtù. Ancor di più se l’animale è la risultante fantastica di miscele ed ibridazioni che assommano più poteri in un unico essere. Come Anzù, l’aquila con la testa di leone dell’epoca sumerica (III millennio a.C.) o la criosfinge egiziana al servizio del dio Amon, un leone con la testa d’ariete.

(Anzù, regno assiro 800 a.C.)

Fenici e Cretesi, popoli di navigatori, contribuiscono a importare i miti dall’Asia minore alla Grecia, dove si sviluppa una ricca mitologia, immortalata nel tempo in poemi, reperti vascolari, pitture, sculture, rappresentazioni teatrali. Le divinità a molte braccia delle religioni orientali, ad esempio, vengono assimilate dai Greci negli ecatonchiri, gli uomini dalle cento braccia, per assistere Zeus nella lotta contro i Titani.

I Greci, popolo di viaggiatori, trapiantano e coltivano in Europa il mito dell’Oriente. Gli scrittori arricchiscono con la loro fantasia i racconti di viaggio che esploratori, geografi e storici già offrono all’immaginario pubblico.

(il Minotauro, 515 a.C.)

La mitologia greca è piena di eroi e di dei che lottano contro i mostri. Ermes uccide Argo, gigante dai cento occhi. Teseo uccide il Minotauro, per metà uomo e per metà toro. Bellerofonte uccide la Chimera, leone nella parte anteriore, capro nella parte mediana e drago nella parte posteriore. Ulisse si scontra con i Ciclopi e poi incontra le Sirene. Perseo uccide Medusa, il mostro dai capelli serpenteschi.

I personaggi mostruosi del patrimonio greco saranno prima ripresi dai Romani, quindi trasmessi al Medioevo con le opere di Esiodo, Ecateo di Mileto, Erodoto di Alicarnasso, Ctesia, Megastene, Plinio il Vecchio, Virgilio, Seneca.

(Teseo e il Minotauro, Pompei, I-III sec aC)

Le meraviglie e i mostri di Plinio, Pomponio Mela e Solino non sono messi in discussione dai primi Padri del pensiero cristiano, anzi, subiscono un processo di rilettura e di reinterpretazione. Diventano esempi della volontà divina e irrompono nei Bestiari, nei Lapidari, negli Erbari e nelle opere dei principali pensatori e commentatori dell’Alto Medioevo, quali Rabano Mauro e Beda il Venerabile (700 d.C.).

Babilonia, perla dei regni,
splendore orgoglioso dei Caldei,
sarà come Sòdoma e Gomorra sconvolte da Dio.
Non sarà abitata mai più né popolata
di generazione in generazione.
L’Arabo non vi pianterà la sua tenda
né i pastori vi faranno sostare i greggi.
Ma vi si stabiliranno gli animali del deserto,
i gufi riempiranno le loro case,
vi faranno dimora gli struzzi,
vi danzeranno i sàtiri.
Ululeranno le iene nei loro palazzi,
gli sciacalli nei loro edifici lussuosi.
La sua ora si avvicina,
i suoi giorni non saranno prolungati.
(Isaia 13)

Segni, presagi, allegorie

Nell’antichità classica si credeva che gli Dei comunicassero con gli uomini tramite prodigi. In greco, “mostro” è “téras”: termine di origine oscura che indica il segno divino, spesso associato ad una atmosfera di terrore. Da “téras” e “logia” deriva “teratologia”: lo studio delle mostruosità o anomalie morfologiche.

Il latino “monstrum” equivale solo in parte al greco “téras”. Cicerone, nel “De divinazione” (44 a.C.), sottolinea il carattere predittivo del mostro. Un avvertimento, un presagio da interpretare, che prende l’aspetto di un essere sovrannaturale inviato ai mortali dalle divinità.

Mentre per i Greci il linguaggio del mostro è nascosto nell’enigma, per i Romani il mostro è un segno. Un approccio, quest’ultimo, ereditato dalla cultura etrusca, che interpretava gli esseri mostruosi come la testimonianza di un turbamento generale dell’universo.

La nascita di un essere umano o animale straordinario veniva letta come un presagio infausto e il mostro richiedeva espiazione. Alla società non restava altro che espellerlo nella maniera più rapida e radicale. In Etruria, come poi a Roma, gli ermafroditi, ad esempio, venivano rinchiusi vivi in una bara e gettati in alto mare. In genere, i mostri erano annegati o bruciati vivi.

(Ercole, Tritone e Nereidi in una coppa  etrusca, VI sec a.C.)

Il monstrum era guardato come qualcosa di spaventoso e di indefinibile, come un essere che la natura, abbandonata a inspiegabili capricci, voleva e non voleva, faceva e immediatamente disfaceva. I mostri, abbozzi informi, nascevano per morire nello stesso istante, realizzando così ciò che non può essere, e manifestando, confusi insieme, i due termini inconciliabili dell’esistenza.

I racconti greci e romani sulle razze mostruose sono caratterizzati da un marcato etnocentrismo, che rende la cultura, la lingua e l’aspetto fisico dell’osservatore la norma in base alla quale tutti gli altri popoli sono valutati.

(Oceano e Tetis in un mosaico romano)

La cultura medievale, pur accettando la definizione classica di monstrum e prodigium, la rivede in un contesto cristiano. Fino ad allora avevano incarnato il male e rappresentato una rottura dell’equilibrio  naturale, ora entrano nell’ordine voluto da Dio, fanno parte dell’ampio dominio dei “miracula”. Sono segni del potere di Dio sulla natura. Sant’Agostino (354-430 d.c.) deve ammetterne l’esistenza e persino conferire loro una sorta di legalità: se il mostro esiste, è perché è stato voluto da Dio per ragioni magari sconosciute, ma che non alterano in alcun modo l’armonia del Creato.

(balena, XIII sec)

Mostri e medioevo

«Ogni volta che non sono riusciti a trovarli in natura, gli uomini hanno creato con parole e immagini i mostri nei quali avevano bisogno di credere» (Fiedler)

Oggetto di curiosità o di repulsione, causa di terrore o di stupore, simbolo del male, allegoria o caricatura, il mostro è l’espressione dell’ambiguità umana ed è destinato a non scomparire mai perchè esprime un bisogno ancestrale: riaffermare i limiti della propria normalità. Nel corso delle epoche il mostro subisce trasformazioni, si adatta nel tempo, ma non cessa di esistere.

Che siano sul nostro pianeta o su altri mondi, persino oggi non rinunciamo al tentativo di cercarne di nuovi. La loro natura profonda è rimasta intatta, così come il loro ruolo nell’immaginario collettivo: l’uomo non potrà mai fare a meno dei mostri, capri espiatori di difetti ed angosce.

In terre remote o in mari sconosciuti, il mostro vive da sempre nella mente dell’uomo, ma in certi momenti acquista maggiore concretezza, fino a diventare “reale”. I confini si fanno più labili: l’animale fantastico si confonde con quello reale, l’essere umano sconfina nella bestia. E’ accaduto nel Medioevo quando, in Occidente, l’uomo perde progressivamente il controllo sulla natura, vissuta matrigna e nutrice, ostile ma allo stesso tempo dispensatrice di vita.

(Italiae Novissima, Ortelius, 1570, dettaglio)

L’uomo medievale è circondato dai mostri: enciclopedie, bestiari, romanzi, resoconti di viaggio. Il dotto li conosce attraverso i libri, l’analfabeta li vede e ne sente parlare in Chiesa.

L’Occidente medievale è immerso nel meraviglioso, inteso come ciò che provoca stupore e ammirazione. Acefali, panotii, monocoli, cinocefali, giganti, grifoni, bestie marine, draghi. Se c’è stata un’epoca in cui si è creduto che tutto fosse possibile, quella è stata certamente il Medioevo.

(Carta Marina, Olaus agnus 1539, dettaglio)

L’analfabeta vede i mostri sui portali e sui capitelli delle chiese, ne sente parlare nei sermoni. I sacerdoti li incontrano nella Bibbia e se ne servono per descrivere l’Inferno. La Chiesa prende alcuni mostri e li cristianizza nelle leggende agiografiche, come i draghi di san Giorgio e di san Michele. Nei timpani delle cattedrali le razze mostruose sono ammesse a lodare Dio assieme alle altre creature.

Il meraviglioso medievale si può comprendere solo considerando l’attitudine mentale dell’uomo di quest’epoca: la vita medievale è punteggiata da feste religiose, scandita dal lavoro nei campi e dalle stagioni, interrotta da crisi politiche, e conosce anche fenomeni inesplicabili, interpretati come minacce o buoni presagi.

La superstizione regna su tutto l’Occidente medievale. Il meraviglioso è innanzitutto un’attitudine mentale, una visione dell’universo, un’interpretazione del mondo, in cui l’immaginazione non si lascia frenare dalla ragione e dall’esperienza. Terremoti, comete, eclissi, nascite mostruose, tutto quello che non trova spiegazione viene interpretato come minacce o buoni presagi.

La vita nel Medioevo è molto dura e l’uomo è costretto a cercare una via di fuga attraverso il sogno, attraverso il meraviglioso. La memoria del passato è l’antidoto al male presente. Guerre, pestilenze, carestie sanciscono il ritorno dell’irrazionale. Si evade dai problemi quotidiani gettandosi nel racconto di avventure meravigliose. Le fate soccorrono i mortali, i malvagi vengono puniti, gli eroi vincono i mostri ottenendo onore e fama.

(sirene, Worksop bestiary, 1185)

Nel Medioevo non c’è una separazione netta tra il mondo reale e il mondo del fantastico. L’orizzonte del direttamente visto si confonde con quello attestato dalla letteratura dotta e dalle tradizioni popolari, così come non sono chiari i confini tra mostruoso e mondo umano.

Per l’uomo medievale, il libro della natura, il mondo, è una metafora della Creazione: è il modo in cui Dio comunica indirettamente con gli uomini. Il mondo fisico rimanda a un mondo spirituale. In tal senso, le razze mostruose acquistano nuova centralità: in esse Dio ha espressamente violato l’ordine della natura per mostrare la Sua volontà. Il mostro perde il primitivo significato simbolico di presagio e ne assume altri, prima morali e poi allegorici.

Il mostro riveste un ruolo così importante durante il Medioevo che diventa addirittura uno strumento didattico o di critica sociale, trasformandosi da simbolo religioso ad allegoria. Il mostro allegorico serve a comunicare una morale. Non fa più riferimento alle tradizioni antiche o alla mitologia, ma è costruito per rispondere ai bisogni di una causa ed è facilmente riconoscibile per il suo carattere composito.

Tra i vari esempi, si ricorda “l’uomo perfetto”, creato nel XIII secolo da Reinmar von Zweter e rappresentato con occhi di struzzo, collo di gru, orecchie di maiale, cuore di leone, una mano come l’artiglio di un’aquila e l’altra come quello di un grifone, e infine i piedi come zampe d’orso. L’uomo superiore è un ibrido in cui ogni anomalia incarna una virtù. Ogni parte ha un significato positivo, anche se, questa sintesi trasforma l’uomo perfetto in un mostro.

Paure

Il mostro è la manifestazione e l’incarnazione di molti timori: la paura di una natura che non si comprende e che non si riesce a controllare, paura di tutto ciò che è diverso, altro, inconsueto o nuovo, paura di un vicino troppo forte o bellicoso, paura del crollo dell’ordine sociale, delle certezze.

(Carta marina, Olaus Magnus, 1539, dettaglio)

L’uomo del medioevo è tormentato dal pensiero della salvezza, è ossessionato dall’aldilà. Per molto tempo, a far tremare i cristiani medievali è stata più la paura dell’Inferno che quella della morte. Per tutto il periodo medievale, permane la certezza che l’Anticristo stia già vagando fra gli uomini, pronto a sferrare l’attacco finale.

Nella Bibbia, Ezechiele e Giovanni avevano profetizzato l’invasione dei popoli dell’Anticristo dall’Oriente, e così sono interpretate le invasioni barbariche e più tardi quelle degli Unni, perché nell’incontro fra il suo immaginario e realtà storiche e geografiche nuove e inattese, l’uomo medievale applica i concetti ideologici e gli schemi a lui noti.

L’inferno, in particolare, ha generato un immaginario del terrore dominato dal fuoco, con laghi e fiumi di fiamme popolati da mostri. Il diavolo assume diverse sembianze mostruose. L’inferno è pieno di bestie orribili e le Apocalissi miniate offrono i più ricchi cataloghi di tali animali.

Il termine nei confronti del quale il diverso si definisce ed assume un carattere significativo è la società costituita. Mitico o reale che sia, esso è naturalmente in polemica con la società e riesce a coagulare l’insicurezza della collettività e a darle un volto.

Le esorcizzazioni, i roghi e le lapidazioni, reali o simboliche, celebrano la riacquistata sicurezza della comunità, ma il confronto con il diverso sembra una necessità ineludibile della collettività, che ne ricava stabilità ed equilibrio: eliminato un mostro, se ne ricava un altro, e quando non lo si trova, è necessario crearlo.

Evasione

I mostri esercitano una forte attrattiva sull’immaginario medievale per le possibilità che offrono, sia come insegnamenti morali che come occasioni di svago o di curiosità.
Oltre a compensare paure, i mostri diventano l’evasione alla propria condizione. Per l’uomo medievale l’India rappresenta un mondo alla rovescia, dove abbondano cibo e ricchezze e la mostruosità è la regola. E’ anche il paradiso dei sogni proibiti, dove regnano nudismo e libertà sessuale, dove gli abitanti, liberi dai vincoli religiosi che reprimono l’uomo occidentale, si lasciano andare e arrivano alla poligamia e all’incesto.

È un Oriente ambiguo e accattivante, scandaloso e permissivo, che attira e respinge allo stesso tempo, che seduce e fa sognare, e che ha una funzione di compensazione e di contrappeso alla banalità e alla mediocrità del quotidiano occidentale.

(Indiae Orientalis, Ortelius, 1570, dettaglio)

L’Oriente viene popolato da migliaia di isole fortunate e felici, che traboccano di immense ricchezze e di indescrivibile opulenza, proiettando nell’India misteriosa i sogni proibiti, le frustrazioni, i desideri dell’uomo europeo. L’indigente mondo occidentale, travagliato da fame e devastanti carestie, sogna terre lontane, ricche di oro e argento, pietre preziose, spezie e legni pregiati protetti da mostri e draghi terrificanti, che li difendono dalla cupidigia degli uomini.

Alla donna europea, umile e sottomessa, sempre concessa da un uomo a un altro uomo e asservita al focolare, nell’universo rovesciato orientale fa da contraltare una seducente e atletica virago esperta nella arti marziali, che tiene sdegnosamente a distanza l’uomo. Le donne raccontate sono alte, bellissime, nude o seminude e con lunghe chiome. Ma qualcosa impedisce di rimanere imprigionati dal loro fascino. Strani segni, infatti, che ne deturpavano la femminilità, come la barba, i denti ferini, i peli su tutto il corpo, la coda e gli zoccoli, le fanno spesso assomigliare a mostri compositi e ibridi. In queste lontane e ambigue creature, metà donne e metà uomini, metà donne e metà animali, seducenti e repellenti, l’uomo occidentale proietta i propri complessi sessuali e i suoi dubbi.

Extra

Dea Circe

Il mito di Circe ha una storia lunghissima: dopo la fine del mondo antico è uno di quelli che più si sono prestati a essere riletti, reinterpretati ed investiti di nuovi significati. Il motivo di questo successo va ricercato in due fattori: il primo è che il mito di Circe è un episodio del mito di Ulisse, che a sua volta è un mito straordinariamente prolifico, il secondo è il fascino personale di questa figura femminile “creata” da Omero, un fascino che ha attratto, nel corso dei secoli, poeti, pittori, romanzieri, registi, filosofi e moralisti. segue…

Il mare dell’inconscio

“Freud ha evocato le paludi marittime dello Zuiderzee per definire l’Es e ha concepito il lavoro della psicoanalisi come una grande opera di bonifica: “Dove era l’Es, deve subentrare l’Io”. É davvero così? La pratica della psicoanalisi è una pratica di bonifica e di colonizzazione dell’Es? L’Es non è invece un nome possibile per indicare l’aperto del mare impossibile da bonificare?” (Massimo Recalcati, “Filosofia del mare“, Palazzo Ducale Genova, 2022)

 

Letture

> Mostri marini, saline, bonifiche, colonie estive, divinità, boom economico, idrovolanti, ferrovie, ... letture da sfogliare nelle pedalate lungo il Tirreno segue...

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> Il Tirreno è un teatro che racconta mille incontri. Le memorie storiche si intrecciano con gli scenari naturali, imprimendo a terra tracce da rievocare, un pedale alla volta. Seguendo in bici il mare e i suoi tematismi. Spiagge, fari, pinete, zone umide, promontori, miniere, …. quante storie siete pronti ad ascoltare? segue...

ProgettoZERO

> Un progetto nato dal basso, che aggrega informazioni per partire in bici in compagnia del Tirreno. In attesa di un sito ufficiale che ci lasci liberi di pedalare, aiutateci a rendere questo spazio utile a tutti coloro in cerca di itinerari da Ventimiglia a Roma (...e oltre) segue...

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(Satiri, angeli e sirene ad Amalfi, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )

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