Spiaggia e cinema:  luogo e racconto delle dinamiche sociali, antropologiche e identitarie di un popolo.

Spiaggia e cinema

All’interno della rassegna di letture in compagnia del Tirreno e dell’approfondimento sulle spiagge, torniamo sull’italico bagnasciuga di vizi e virtù, ripercorrendo 70 anni di cinema italiano.

Specchio degli italiani

La spiaggia non è solo un territorio fisico e geografico, ma soprattutto un vero e proprio topos nel quale si possono rispecchiare in forme più o meno evidenti le caratteristiche sociali, antropologiche e identitarie di un popolo.

Sull’arenile italiano viene messo a nudo, con tutte le sue storiche e insanabili contraddizioni, il “carattere nazionale”. Il set ideale di una moltitudine di opere capaci di mettere in scena e interpretare con una peculiare nitidezza i mutamenti storici, sociali e antropologici vissuti dal nostro Paese nel corso del tempo.

Nel regime fascista i lidi italici vengono esaltati in quanto sorta di “terra promessa”. Con la miriade di corpi seminudi dei bagnanti intenti a trascorrere sui nostri litorali le ore libere dal lavoro, si mira a celebrare il culto del corpo e della salute fisica.

(le colonie marine del ventennio fascista)

Spiaggia e Boom

Superato il conflitto, nel 1950 il mare, la riva e le attività che vi si svolgono in una tipica giornata festiva d’estate diventano il tema centrale di un’opera di finzioneDomenica d’agosto di Luciano Emmer segna il principio di una nuova stagione cinematografica. E’ lo specchio del rinnovamento vissuto dal nostro Paese in quegli anni. La “condizione balneare” descritta da Emmer è quella in cui il rimosso della guerra, e l’immaginario a esso connesso, mutano di segno in un’Italia che ora vuole letteralmente lavarsi di dosso la polvere delle macerie della guerra.

(Domenica d’agosto, 1950)

Negli anni successivi il topos della spiaggia va gradualmente accentuando il suo carattere multiforme nel quale ciò che è radioso, festoso, rassicurante e familiare convive con il suo risvolto più perturbante e oscuro. A tenere insieme il tutto è la dimensione di vera e propria arena che il litorale va acquisendo, luogo dove mettere in mostra, tra sguardo e performance, rituali e fenomeni più o meno bizzarri.

Da un lato, un’opera come “La spiaggia” (1954) di Alberto Lattuada, lucida metafora dell’Italia pre-boom economico. Dall’altro, gran parte della filmografia di Fellini, nella quale lo spazio litoraneo si fa orizzonte immaginifico ed espressionista, metafisico e simbolico, arcaico e atemporale.

(Racconti d’estate, 1958)

Con l’avvento del boom economico la spiaggia diventa nel cinema italiano un “luogo comune” talmente ricorrente da determinare la nascita di un vero e proprio filone balneare. Vacanze a Ischia (1957) di Mario Camerini, Tipi da spiaggia (1959) di Mario Mattoli, Ferragosto in bikini (1960) di Marino Girolami, Frenesia dell’estate (1964) di Luigi Zampa sono solo alcuni dei titoli più rappresentativi di una serie di pellicole in cui si mette in bella mostra l’Italia sovreccitata dal nuovo corso storico, sociale ed economico nel quale essa è appena entrata.

La riva vi si ufficializza come territorio di totale sospensione dei codici che regolano moralmente e socialmente la vita ordinaria e in cui trionfa una dimensione carnevalesca alla quale si ha democraticamente accesso purché si sia (s)vestiti in costume (da bagno).

(Tipi da spiaggia, 1959)

Nello stesso periodo anche un caposaldo della commedia all’italiana come Il sorpasso (1962) di Dino Risi celebra il rito delle vacanze al mare. Una occasione per fotografare, in modo lucido e impietoso, l’Italia alle prese con la vorticosa accelerazione sociale e storica impressa dal boom economico.

Nel corso degli anni Sessanta le rive del nostro cinema si cominciano  a trasformare in scenari di un’inesorabile deriva,  condensando un sostanziale scetticismo nei confronti del processo di modernizzazione vissuto dal Paese. Ecco allora un’altra opera paradigmatica di Risi come L’ombrellone (1965), film che, pur rientrando a pieno titolo nel filone della commedia balneare, ne propone il ribaltamento grottesco dei motivi centrali, rappresentandone di fatto il canto del cigno. Qui la spiaggia non è più il solare, quantunque illusorio, approdo di un viaggio fisico ed esistenziale (come ne Il sorpasso), bensì il luogo simbolo di una vera e propria degenerazione della condizione umana.

Negli anni successivi il paesaggio della riva si va facendo sempre più orizzonte fuori dalla Storia,  svuotato delle consuetudini e degli accessori propri delle pratiche del tempo libero, così come esse sono state ritualizzate durante il miracolo economico. L’umanità torna a una sorta di arcaica quanto ferale condizione primigenia, come accade paradigmaticamente in buona parte del cinema di Marco Ferreri.

Decadenza

Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei settanta, mentre da un lato il cinema italiano scopre nuovi orizzonti balneari, come ad esempio quelli vergini e incontaminati della Sardegna (tra tutti: Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto di Lina Wertmüller, 1974), dall’altro esso mostra il  degrado a cui le coste della penisola sono andate fatalmente incontro, facendosi ricettacolo delle scorie, fisiche e simboliche, prodotte dalla modernizzazione, come viene mostrato impietosamente in varie sequenze di Dramma della gelosia (1970) di Ettore Scola e In nome del popolo italiano (1971) di Dino Risi.

(Travolti da un insolito destino, 1974)

La decadenza del terrorismo e della violenza politica interessa la stessa condizione balneare, come sancisce l’emblematico Casotto (1977) di Sergio Citti, vera e propria fenomenologia del capanno balneare che, in quanto tale, costituisce la radicale quanto claustrofobica negazione del concetto stesso di spiaggia quale metafora di libertà ed evasione.

Bisognerà aspettare il 1983 di Sapore di mare di Carlo Vanzina per ritrovare quello che forse è l’ultimo vero beach movie all’italiana. Occasione per un tentativo di ripresa della commedia balneare, questo film è proiettato in un passato prossimo, e insieme ormai remoto, che coincide con l’età d’oro delle pellicole estive di ambientazione marinara. Adottandone lo scenario e la struttura narrativa, riprende e omaggia le atmosfere della compianta Italia dei sixties. Terminato il lungo inverno degli anni di piombo, il film  diventa simbolo dell’estate, assumendone i connotati della solare stagione-rifugio.

(Sapore di mare, 1983)

La spiaggia ha successivamente potuto giovarsi di un consolidamento della propria funzione topica, tornando “in circolo” più volte e a vario livello sul grande e piccolo schermo. Replicando schemi del passato,  da Ferie d’agosto (Paolo Virzì, 1996) a Come un gatto in tangenziale (Riccardo Milani, 2017), gli arenili non hanno perso la loro funzione di spazi liminali, capaci di condensare vizi e vezzi degli italiani così come le trasformazioni sociali, economiche e politiche del Paese.

Nel contempo essi si sono progressivamente caricati di una radicale dimensione ferale esibendo, in crime series diventate cult come Gomorra (2014-2021) e Suburra (2017-2020), la propria canonica funzione di frontiera, in questo caso declinata nei termini del confine ultimo tra legalità e illegalità.

Il cinema italiano, tra finzione e documentario, ha riflettuto a più riprese e con moduli stilistici di volta in volta diversi sullo statuto di confine assunto dalle nostre coste e interpretato ora nei termini di un’interfaccia funzionale alla mediazione fra i popoli, ora, al contrario, in quelli di uno sbarramento atto all’esclusione e al rigetto verso il mare dell’estraneo.

In entrambi i casi è la secolare condizione liminale tra speranza e disillusione, libertà e oppressione, apertura e chiusura quella che il topos della spiaggia ha continuato a interpretare con una potenza drammaturgica e una carica immaginifica del tutto uniche.

(Come un gatto in tangenziale, 2017)

Riferimenti

Testi estratti da:

  • La spiaggia nel cinema italiano, Christian Uva segue…

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(Lido di Camaiore, pedalando da Massa a Pisa, dalla collezione Tirrenica360... )

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