Le Colline Metallifere raccolgono importanti siti minerari della Toscana, alcuni dei quali sono stati convertiti in poli turistici per custodire la memoria di generazioni di minatori.
Colline Metallifere
All’interno dei percorsi tematici pedalando lungo il Tirreno, degli itinerari TirrenicaExtra e dell’approfondimento sulle miniere, una pagina dedicata alle Colline Metallifere, che si avvicinano pedalando in Toscana da Campiglia a Grosseto.
Nelle colline Metallifere, tra Piombino e Grosseto, si trovano importanti siti minerari, alcuni dei quali sfruttati fin dall’epoca etrusca. Ora che la coltivazione dei giacimenti non è più redditizia, diversi di questi sono stati convertiti in poli turistici, per custodire la memoria di generazioni di minatori.
Mappa
I siti minerari visitabili, insieme ai percorsi in bici che li attraversano, li abbiamo raccolti in una mappa per facilitare chi volesse partire alla scoperta del passato di miniere e minatori. La mappa è tutt’ora in fase di studio. Aiutateci con le vostre segnalazioni. segue…
Gran Tour in bici
Il paesaggio dell’entroterra della Maremma Nord è segnato anche dalle Colline Metallifere, che caratterizzano il territorio non soltanto per l’importanza storica della zona legata all’estrazione dei minerali, ma anche per la bellezza scenografica di tutto il percorso. L’itinerario del Gran Tour delle Colline Metallifere, lungo circa 250 chilometri e con 4500 metri di dislivello in salita, è pensato per tutti coloro che vogliono esplorare questo territorio accompagnati dalla propria bicicletta. segue…
Fotoracconto
Alcuni scatti esplorando le colline metallifere.
Geositi e miniere
Dalla metà del XIX secolo imprenditori sia italiani sia stranieri hanno investito nello sfruttamento delle risorse minerarie delle Colline Metallifere, note fin dalla Preistoria, aprendo numerose miniere e stabilimenti. Questo comportò una notevole trasformazione nella società e nell’economia delle comunità locali, che abbandonarono le tradizionali attività legate all’agricoltura e alla pastorizia per dedicarsi a un lavoro che, seppure più duro e pericoloso, garantiva un reddito fisso e sicuro, al riparo dalle incertezze dell’andamento delle stagioni.
(perforazione con martello, archivio Banchi)
Le miniere divennero così l’asse portante dell’economia locale fino al secondo Dopoguerra, quando, per la crisi dei mercati e i costi crescenti di estrazione, vennero progressivamente chiuse fino al completo abbandono. Nel 1977 chiusero definitivamente le miniere di mercurio del monte Amiata, mentre l’ultima miniera nel Massetano cessò la sua attività nel 1995.
Tra il 1993 e il 1999 i comuni delle Colline Metallifere hanno cominciato a realizzare una serie di studi per il recupero e la valorizzazione a fini culturali e turistici degli ex compendi minerari. Nel 2002 è nato il Parco Nazionale delle Colline Metallifere: nuovi Musei e percorsi sono stati creati per valorizzare l’importante eredità di conoscenze e testimonianze provenienti dall’attività mineraria che ha connotato per oltre quattro millenni questo territorio.
Gavorrano
A Gavorrano nel 1898 la scoperta di un affioramento di limonite fu il presupposto per aprire una miniera che divenne uno dei più importanti poli europei di estrazione della pirite. Una importante occasione di lavoro per le popolazioni locali e per il notevole flusso migratorio che di conseguenza si instaurò.
La miniera terminò la sua attività nel giugno del 1981. Delle sue strutture, molte sono rimaste perfettamente conservate. Il museo in galleria raccoglie macchinari e testimonianze della vita in miniera. segue…
Tour360
Il tour immersivo dedicato alla Museo in Galleria di Gavorrano, per scoprire la meraviglia dei luoghi a tutto tondo. segue…
Campiglia M.
Il Parco Archeominerario di San Silvestro si sviluppa a ridosso di Campiglia Marittima, non lontano dal promontorio di Piombino. Oltre al Museo dell’archeologia e dei minerali, la visita prevede un percorso a piedi nelle gallerie della Miniera del Temperino, nel Museo delle Macchine Minerarie e nel Museo dei Minatori, alla scoperta del mondo sotterraneo e dell’evoluzione delle tecniche di ricerca ed estrazione dei minerali in Val di Cornia.
Salendo sul trenino della miniera, si potrà ripercorrere il tragitto dei minerali, dai luoghi di estrazione della valle del Temperino agli impianti di trattamento di valle Lanzi. Sullo sfondo di questa valle spiccano i resti del castello medievale di Rocca San Silvestro, che nel medioevo ha dominato le vallate minerarie. segue…
Tour360
Il tour immersivo dedicato al Parco Archeominerario di San Silvestro, per scoprire la meraviglia dei luoghi a tutto tondo. segue…
Massa M.
L’attività mineraria ha segnato per secoli il territorio di Massa Marittima. Nel corso degli anni Settanta del Novecento cominciava il declino che ha portato, una ventina di anni dopo, alla chiusura definitiva degli impianti.
Cessata l’attività in miniera, segue l’apertura di due musei: il Museo della Miniera e il Museo di Arte e Storia delle Miniere dedicato all’esposizione di strumenti, cartografia e minerali, molti dei quali donati dagli stessi minatori e cittadini che li avevano utilizzati o raccolti.
(museo in galleria, dalla collezione Tirrenica360... )
Il percorso in galleria è stato allestito da ex minatori che hanno ricreato il loro ambiente di lavoro: il deposito per il legname necessario per armare le gallerie, il deposito dell’esplosivo, la riservetta del sorvegliante, la mensa, le discenderie, i fornelli di getto, i vari sistemi di armamento delle miniere, i vari metodi di escavazione e di lavorazione del minerale. Lungo le gallerie si trovano anche diversi macchinari: vagoni per il trasporto degli operai e del materiale, escavatori, martelli pneumatici e tubazioni per l’aerazione. segue…
Monterotondo M.
Un paesaggio di grande interesse geologico e di struggente bellezza ci accoglie alle Biancane di Monterotondo Marittimo. La storia geologica, responsabile della costituzione di ogni territorio, è scritta sulle rocce dalla Natura. Alcune di queste pagine sono testimonianze uniche e irripetibili, per il loro valore scientifico, didattico ed educativo: i geositi. In quanto pagine imperdibili della storia del territorio, devono essere tutelate. Per questo nel 2014, la Regione Toscana ha dichiarato le Biancane Geosito di Importanza Regionale.
Analogamente alla biodiversità, la geodiversità è la varietà degli elementi geologici presenti sulla Terra. Essa rappresenta il motivo fondante e il marchio di ciascun territorio, ne condiziona l’ecosistema e influenza la biodiversità. La molteplicità dei paesaggi del nostro pianeta non è dovuta al caso, ma alle differenti storie geologiche responsabili della loro formazione. Esse hanno determinato la presenza di alcuni corpi rocciosi e non di altri, stabilendone così le caratteristiche abiologiche.
(Biancane, dalla collezione Tirrenica360... )
Ci troviamo in una zona di altissimo pregio naturalistico, dominata da fenomeni geotermici che hanno determinato la formazione di un ecosistema unico per caratteristiche climatiche, geologiche e biologiche. La costante presenza del riscaldamento naturale del terreno e dell’aria (tramite i vapori), nonché l’acidità del suolo e delle emissioni, hanno creato un microclima particolare che ha favorito linsediamento di una vegetazione unica, con molte specie acidofile sempreverdi tipicamente mediterranee, decisamente anomala rispetto alle condizioni dei rilievi circostanti.
Alle Biancane di Monterotondo Marittimo i fluidi geotermici surriscaldati attraversano il sottosuolo e raggiungono la superficie, dando luogo a vistose manifestazioni naturali, rendendo questa località estremamente interessante e affascinante. segue…
Tour360
Il tour immersivo dedicato alle Biancane, per scoprire la meraviglia dei luoghi a tutto tondo. segue…
Follonica
Il museo MAGMA di Follonica è una scatola magica che racconta una storia di ingegno, arte e passione: quella dell’industria siderurgica italiana. E’ ospitato nel Forno San Ferdinando, l’edificio più antico della città. Muri secolari e preziosi manufatti accompagnano i visitatori grandi e piccini in un viaggio virtuale alla scoperta di uno straordinario monumento di archeologia industriale. segue…
Tour360
Il tour immersivo dedicato al Magma di Follonica, per scoprire la meraviglia dei luoghi a tutto tondo. segue…
Approfondimenti
> Quanti simboli, quante memorie, quanti ricordi fioriscono con la vicinanza del mare? Siete anche voi affascinati dai segni che il tempo e lo spazio hanno disseminato lungo il Tirreno? Aiutateci ad arricchire questo capitolo, perchè le storie tornino a parlare.
Dalle miniere al parco
La vocazione siderurgica di questo territorio è molto antica: già gli etruschi ne intuiscono la favorevole posizione. Agli inizi del VI secolo a.C. il golfo di Follonica era compreso fra due grandi città dell’Etruria: Populonia a nord, sul promontorio di Piombino, e Vetulonia a sud, sulle alture dietro Punta Ala. Entrambi i centri nascono nel X secolo a.C. e devono la loro fortuna ai giacimenti minerari delle Colline Metallifere e a quelli di ferro dell’Isola d’Elba.
In età antica all’EIba si svolgeva, oltre all’attività estrattiva, anche quella siderurgica. Ma già nel VI secolo a.C. gli Etruschi trasferiscono parte della produzione del ferro sulla costa, dove è più facile reperire la manodopera e il legno per alimentare forni fusori.
Il litorale del golfo era assai diverso da quello attuale: le pianure erano occupate da ampie lagune in contatto con il mare, che consentivano un approdo sicuro. Anche per questo, il golfo ha un ruolo strategico nei collegamenti via mare negli scambi con l’entroterra.
Lo sviluppo industriale in Europa comincia nei paesi dove maggiore è la disponibilità di risorse del sottosuolo e le miniere dell’isola d’Elba rappresentano uno dei più importanti giacimenti di ferro italiano. Il minerale è composto da vari tipi di ossidi di ferro. Così ricco che – di secolo in secolo – vengono sfruttati anche i depositi di passate escavazioni. Nell’antichità, ciò ha generato la leggenda che la vena elbana si rigenerasse nel tempo, tanto che ancora oggi si parla di ”coltivazione mineraria”.
Quest’altro ha di straordinario l’Elba:
che le cave da dove è stato estratto il metallo,
col tempo si riempiono di nuovo
(Strabone, geografo Greco, l sec. a.C.)
Il ferro è estratto nella parte orientale dell’isola, da Rio a Capo Calamita, in miniere a cielo aperto. Grazie alla grande concentrazione in superficie, il minerale è infatti cavato, rendendo più semplice lo sfruttamento.
Dalla metà del XIX secolo imprenditori sia italiani sia stranieri hanno investito nello sfruttamento delle risorse minerarie delle Colline Metallifere aprendo numerose miniere e stabilimenti. Questo comportò una notevole trasformazione nella società e nell’economia delle comunità locali, che abbandonarono le tradizionali attività legate all’agricoltura e alla pastorizia per dedicarsi a un lavoro che, seppure più duro e pericoloso, garantiva un reddito fisso e sicuro, al riparo dalle incertezze dell’andamento delle stagioni.
(minatori in risalita, archivio Banchi)
Le miniere divennero così l’asse portante dell’economia locale fino al secondo Dopoguerra, quando, per la crisi dei mercati e i costi crescenti di estrazione, vennero progressivamente chiuse fino al completo abbandono. Nel 1977 chiusero definitivamente le miniere di mercurio del monte Amiata. La miniera di pirite di Gavorrano cessò la produzione nel 1982, quella di solfuri misti (rame, piombo e zinco) di Fenice Capanne nel 1985, quella di pirite di Niccioleta nel 1992, quella di pirite di Campiano nel 1994.
La causa principale della chiusura delle attività minerarie fu la diminuzione della concorrenzialità sul piano internazionale del minerale estratto nelle Colline Metallifere e lavorato nel territorio. In modo particolare della pirite, sostituita come materia prima nella produzione di acido solforico, con lo zolfo ricavato come sottoprodotto nei processi di raffinazione del petrolio.
(cedimento armatura, archivio Banchi)
Nel 2002 è nato il Parco Nazionale delle Colline Metallifere: nuovi Musei e percorsi sono stati creati per valorizzare l’importante eredità di conoscenze e testimonianze provenienti dall’attività mineraria che ha connotato per oltre quattro millenni questo territorio.
Paludi e bonifica
La Maremma, fino alla seconda metà dell’800, è ancora una landa desolata e selvaggia in cui l’equilibrio tra terra e acqua risulta quanto mai precario. Il sud della Toscana è infatti una delle tante regioni costiere del Mediterraneo, in cui il paesaggio era dominato da paludi, incolti e boschi. Le acque del mare e quelle dei fiumi finivano spesso per mescolarsi, con effetti profondi sulla natura del territorio e sulla possibilità di accogliere una popolazione stanziale.
Sentier non segna quelle lande incolte,
e lo sguardo nei lor spazi si perde:
genti non hanno, e sol mugghian
per molte mandre quando la terra
si rinverde. (Bartolomeo Sestini, poeta, 1822)
La malaria, malattia endemica di queste terre paludose, condiziona infatti per secoli il destino demografico della Maremma, condannandola allo spopolamento. Solo nel periodo invernale, le basse pianure di Follonica sono frequentate da un’esigua popolazione stagionale: pastori transumanti, braccianti agricoli avventizi, boscaioli, carbonai e i fonditori dello stabilimento siderurgico. Gente in continua lotta per la sopravvivenza, contro una terra conosciuta come nemica.
Colla morte lottavasi a Follonica, ed il Paese era nella crisi nel più difficile momento della cura. Tra i figli mancanti, prosperava la ricca ed interessante Manifattura del Ferro, in Paese cinto da mortiferi paduli. (Leopoldo lII, Granduca di Toscana, 1841)
Il nuovo paese di Follonica sorge in una terra di frontiera, che lotta contro paludi infestate dalla malaria. Ai primi dell’800, per far crescere lo stabilimento siderurgico, sempre più bisognoso di manodopera, è dunque necessario fondarvi attorno un nucleo urbano, che convinca le persone a stabilirsi qui. Secondo la volontà del granduca Leopoldo ll, Follonica deve diventare il simbolo del risorgimento della Maremma, attraverso un’opera di bonifica idraulica, avviata nel 1828.
Si iniziano così a valorizzare le campagne e a coltivarle con seminativi, olivi e alberi da frutto, per farne “un salubre giardino”. Si effettuano rimboschimenti lungo i tomboli costieri, con piantate di querce e di pini domestici. Si scavano pozzi artesiani per garantire acqua potabile alla popolazione e si ristrutturano gli assi viari principali, come la via Aurelia, da Pisa a Grosseto. Soprattutto si avvia una lenta e parziale opera di bonifica delle paludi, in particolare il grande padule di Scarlino, a sud dell’abitato.
lo rimasi un momento a guardare impensierito quei poveri diavoli. Quella era di certo una delle tante famiglie che nell’inverno emigrano dalla montagna, snidate dal rigore della stagione e dalla fame: il babbo, la mamma, due ragazzetti sotto i 12 anni e una bambina che, come seppi dopo, ne aveva 8 appena compiuti. (Renato Fucini, scrittore, 1882)
Ma perché poggiare la politica industriale su un territorio malsano e ancora spopolato? Follonica nasce al centro di un sistema ambientale ricco di risorse minerarie, idriche e forestali.
Il paese si trova infatti esattamente di fronte e a breve distanza da importanti miniere di ferro, situate sulla costa orientale dell’Isola d’Elba. Da lì il minerale si può velocemente trasportare via mare, su semplici rotte litoranee.
Le aree collinari che circondano il golfo di Follonica, inoltre, sono ricoperte da vasti boschi: riserve da bruciare per fornire energia al processo siderurgico. Tali aree conservano tuttora evidenti tracce dello sfruttamento, negli spazi delle carbonaie e nella rete dei sentieri.
Infine, la presenza di acqua fluente garantisce la forza motrice necessaria alle macchine dello stabilimento. Le acque perenni vengono raccolte per essere condotte fino alle fonderie. Ne risulta un complesso sistema di relazioni, in cui l’attività siderurgica degli uomini si combina con le risorse della natura.
Boschi e carbonaie
Il bosco che si estende attorno a Follonica ha sempre rappresentato una risorsa importante per le popolazioni locali e per gli impianti siderurgici. La vasta macchia mediterranea di Montioni e delle Bandite di Scarlino fornisce, infatti, la materia prima per la produzione di carbone vegetale. Il carbone di legna è per secoli la principale fonte di energia per alimentare forni e ferriere. Il bosco è quindi usato come una riserva da bruciare.
(bandite di Scarlino, pedalando da Follonica a Grosseto, dalla collezione Tirrenica360... )
La Reale Amministrazione delle fonderie ha in dotazione vasti appezzamenti forestali, ma deve misurarsi con la rinnovabilità del bosco. Sfruttarlo con una velocità superiore alla sua capacità di rigenerarsi significa allontanare il luogo di approvvigionamento del legname, con costi sempre meno sostenibili.
Il carbone di legna è prodotto con grande maestria e pazienza da carbonai stagionali, soprattutto pistoiesi. Dall’autunno alla primavera, scendono dall’Appennino toscano per carbonizzare la legna tagliata nei boschi maremmani e rifornire così di prezioso combustibile i forni di Follonica. In quei periodi, si vedeva ovunque in Maremma salire il fumo delle carbonaie ed era frequente incontrare nei sentieri le file dei muli, che trasportavano il carbone verso i punti di raccolta.
La carbonaia è una struttura a tronco di cono, composta da una catasta di legna stagionata, ben serrata attorno a un camino centrale. Il grosso cumulo viene ricoperto con foglie secche, zolle erbose, terriccio e polvere di carbone, quindi si accende, introducendo il fuoco dall’alto, attraverso il camino.
All’interno di questo manufatto, costruito a regola d’arte, si compie la carbonizzazione: un processo naturale che avviene con la combustione del legno ad alta temperatura, ma in presenza di poco ossigeno e senza fiamma. La tecnica consiste nel dosare l’aria in modo che il fuoco non prenda vigore, ma nemmeno si spenga. Viene perciò chiuso il tiraggio centrale, lasciando un leggero respiro attraverso dei buchi laterali.
Sta all’occhio esperto del carbonaio seguire tutte le fasi, restando per giorni, e anche di notte, nella selva a sorvegliare e regolare la cottura. Ciò ha favorito la nascita di leggende su questi lavoratori, depositari di segrete alchimie e di patti col diavolo.
Civiltà della ghisa
In piena rivoluzione industriale, negli anni Venti dell’800, la ghisa diventa il simbolo di una nuova civiltà del ferro. Resistente, versatile, riproducibile, è l’emblema della modernità e di un’architettura borghese che guarda al futuro.
In questo clima, Leopoldo Il di Toscana elabora un ambizioso progetto per sfruttare le miniere di ferro dell’Elba ed esportare ghisa in vari stati italiani ed europei. Il piano si fonda sul rilancio delle fonderie di Follonica, per farne il centro dell’industria toscana del ferro.
(ghisa al Magma di Follonica, dalla collezione Tirrenica360... )
Lo stabilimento follonichese affronta grandi trasformazioni tecnologiche e produttive, diventando in pochi anni un polo siderurgico tra i più avanzati d’Europa. Il perfezionamento della fusione consente non solo d’incrementare le quantità di ghisa, ma anche di migliorare la qualità. Nel 1835 è così possibile creare, accanto ai normali lavori di getto, un reparto di fonderia artistica, specializzato nella produzione di oggetti d’arredo e ornamenti di pregio.
Gli ornati artistici fusi a Follonica vanno ad arricchire centinaia di opere edili sparse in tutta la Toscana. Si consolida così una produzione di arredo urbano di qualità, che continua per oltre un secolo.
L’utilizzo della ghisa nelle costruzioni si diffonde in tutto il mondo, più o meno, in concomitanza con il propagarsi della prima rivoluzione industriale.
Mestieri in miniera
Il lavoro in miniera comportava numerose specializzazioni. Il minatore in senso più stretto era colui che stava all’avanzamento, che lavorava col martello pneumatico per praticare i fori per le mine. Con lui lavorava il carichino, che poneva nei fori gli esplosivi per far saltare la roccia e liberare il minerale. Ogni minatore aveva un aiuto minatore.
(vagoni in galleria, archivio Banchi)
Lo stradino faceva la manutenzione delle strade ferrate dentro la miniera, collocando e tenendo sempre pulite e sgombre le rotaie dei binari per i carrelli. L’arganista stava all’esterno della miniera, in una stanza apposita, e manovrava l’argano, un enorme macchinario che faceva scendere e salire dai vari livelli le gabbie con gli operai a bordo. L’armatore rinforzava le pareti e le volte delle gallerie attive.
Il boccaiolo era l’addetto alla bocca del pozzo di estrazione: comunicava con segnalazioni acustiche convenzionali apertura e chiusura dei portelli delle gabbie di trasporto degli operai e la loro salita e discesa. Il vagonaio era l’operaio che si occupava dei vagoni o carrelli: dalla manutenzione al riempimento del materiale recuperato dopo l’esplosione, fino allo scarico alla bocca del pozzo.
La miniera era sempre attiva: i minatori lavoravano in turni che si chiamavano gite. La prima gita la mattina, la seconda il pomeriggio e la terza la notte. La pausa pranzo si faceva all’interno della miniera, in uno spazio dedicato alla mensa.
I minatori portavano il cibo da casa e lo custodivano nella panierina, che inizialmente era un vero e proprio cestino di vimini sostituito poi, per evitare l’intrusione dei topi, da una scatola di latta che i minatori costruivano da soli e che portavano a tracolla come un tascapane.
Silicosi
A causa del lavoro in miniera e della quasi totale mancanza di protezioni, i minatori si ammalavano di silicosi. Si tratta di una patologia irreversibile, permanente, invalidante e incurabile, causata dall’accumulo nei polmoni, tramite la respirazione, di polvere di silice cristallina, una polvere fatta di particelle di dimensioni microscopiche, che la rendono respirabile. La silicosi è stata una delle prime malattie professionali riconosciute nel nostro Paese e ha permesso a molti minatori di ottenere una pensione di invalidità.
Donne e miniere
È piuttosto raro trovare documenti e studi che si occupino del lavoro nelle miniere da parte delle donne. Le testimonianze e i documenti relativi al lavoro in miniera si occupano infatti più delle condizioni di vita dei minatori, delle loro lotte, degli scioperi e degli scontri, della malattia e della morte per incidente.
Ma anche le donne prestavano la loro opera in miniera, generalmente come cernitrici, lavoro pesante e mal retribuito che consisteva nella separazione del minerale dallo sterile e che spesso si svolgeva all’aperto, sul piazzale antistante i pozzi, sotto il sole o la pioggia. Gli infortuni capitavano anche alle donne.
(donne alla cernita)
Tra le cernitrici vi erano frequentemente anche le vedove dei minatori morti per incidente, che venivano in questo modo risarcite per il mancato salario. Inoltre le donne erano impiegate come addette alle pulizie dei vari uffici o delle abitazioni dei dirigenti (direttori, ingegneri) o dei camerotti dei minatori scapoli. Oppure come cuoche nelle mense.
Nelle Colline Metallifere le donne hanno giocato un importante ruolo nelle lotte sindacali degli anni Cinquanta del Novecento: nel villaggio minerario di Ribolla nacque l’associazione “Amiche della Miniera” che ebbe il suo congresso a Massa Marittima nel 1951. Dell’Associazione facevano parte madri, mogli, sorelle, figlie di minatori che hanno lottato a fianco dei loro uomini nelle lotte sindacali e politiche di quegli anni.
Miniere
> L’Italia custodisce un ingente patrimonio minerario in cui sono stratificati valori identitari e memorie sociali da conservare e riqualificare a fini turistici-culturali. Miniere, cave, siti preistorici da raggiungere in bici, tutto l’anno, lungo la futura ciclovia Tirrenica. segue...
(manutenzione agli impianti, archivio Banchi)
Uomini e miniere
> Per lungo tempo, nella coltivazione delle miniere, l’uomo poté fare affidamento solo sulla sua forza e sul suo coraggio. Moltitudini faticarono nelle viscere della terra, vi soffrirono e vi morirono per strappare all’oscurità i suoi tesori profondi. Crolli, inondazioni dei sotterranei o violente esplosione erano una continua minaccia. Questi drammatici eventi, che causarono innumerevoli infortuni mortali, devono essere ricordati in ossequio a quei minatori che nulla poterono contro le forze della natura segue...
Extra
Tappa dopo Tappa
> Gli itinerari già pedalabili lungo la futura Ciclovia Tirrenica, li abbiamo elencati in tappe. La presenza di alcuni tratti critici ci impedisce di offrire un percorso continuativo da Ventimiglia a Roma. Il risultato è comunque strabiliante e le visioni raccolte pedalando dovrebbero convincere anche voi. segue...
TirrenicaExtra
> Il progetto ufficiale della futura Ciclovia Tirrenica al momento parte da Ventimiglia e finisce a Roma. Noi, dal basso, proviamo a raccogliere spunti preziosi anche su altri percorsi che coinvolgono il Tirreno. segue...
Letture
> Creature fantastiche, saline, bonifiche, colonie estive, divinità, boom economico, idrovolanti, ferrovie, .... Storie impigliate sotto costa o affondate in alto mare, sferzate dai venti o cullate dalle onde. Racconti e letture da sfogliare in compagnia del Tirreno. segue...
Percorsi tematici
> Spiagge, fari, pinete, zone umide, promontori, miniere, …. quante storie siete pronti ad ascoltare? Il Tirreno è un teatro che racconta mille incontri. Le memorie storiche si intrecciano con gli scenari naturali, imprimendo a terra tracce da rievocare, un pedale alla volta. Seguendo in bici il mare e i suoi tematismi. segue...
ProgettoZERO
> Un progetto nato dal basso, che aggrega informazioni per partire in bici in compagnia del Tirreno. In attesa di un sito ufficiale che ci lasci liberi di pedalare, aiutateci a rendere questo spazio utile a tutti coloro in cerca di itinerari da Ventimiglia a Roma (...e oltre) segue...
Il vostro contributo
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Partecipate con passaparola, proposte, feedback, ... Date una occhiata al progettoZERO e alla squadra operativa. Le amministrazioni non vedono le potenzialità di un percorso ciclabile lungo il Tirreno? Mostriamo loro il contrario. Facciamo conoscere insieme la bellezza delle nostre coste. Cittadini, viandanti, viaggiatori, cicloturisti come voi. Niente di più, niente di meno. segue...
(video 360 delle Biancane di Monterotondo, muovere il mouse per guardarsi intorno, dalla collezione Tirrenica360... )