Giganti di ferro e cemento si stagliano all’orizzonte, immersi nel silenzio della natura, affacciati sull’immenso mare. Andiamoli a scoprire insieme pedalando lungo la futura CicloVia Tirrenica.

Uomo ed Energia

Il testo seguente è estratto dai documenti:Il problema energetico italiano”, Alessandro Bigioni; “Energia e Territorio Per una geografia dei paesaggi energetici italiani”, Società Geografica Italiana; “Storia della questione energetica mondiale e implicazioni per l’Italia”, Poli Tanja; “La decarbonizzazione in Italia”, Legambiente; “per un PNIEC per la transizione“,  WWF Italia; “Addio al nucleare“, Il Sole 24ore; “I combustibili fossili in Italia dal 1870 ad oggi”, S. Bartoletto

(Centrale Torre del Sale, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )

Identità

Nella storia dell’economia, i grandi cambiamenti sono legati al consumo di energia, alla scoperta di nuove fonti o al loro sfruttamento più efficiente. Mediante lo studio del binomio uomo-energia è dunque possibile ripercorrere le modalità attraverso le quali queste due variabili, intrecciandosi ed influenzandosi vicendevolmente, hanno portato alla definizione dell’attuale sistema economico globale.

Non esistono territori in cui la presenza di riserve energetiche non abbia influenzato lo sviluppo socio-economico, l’impatto ambientale, le progettualità innovative, le trasformazioni del paesaggio e, quindi, contribuito a definire l’identità dei luoghi.

È la scoperta e l’utilizzo di nuove fonti di energia a cadenzare la storia dell’umanità, ed è proprio per tale ragione che è possibile distinguere fra un‘epoca delle energie semplici (vento, acqua, legna) che si estende fino al ‘500, ed un‘epoca dei combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale) ancora oggi in corso.

Lo sfruttamento del carbone è alla base della crescita economica che interessa l’Europa nel XIX secolo, liberando l’energia necessaria per la meccanizzazione delle attività industriali. Il suo utilizzo permette infatti il superamento dei limiti imposti dalla scarsa disponibilità energetica tipica delle economie organiche.

L’elevato peso specifico del carbone rappresenta però una criticità per l’industria. Per abbattere i costi di trasporto, le imprese più energivore, infatti, sono spesso costrette a insediarsi in prossimità delle miniere.

Negli anni ’50-’60 del ‘900 il petrolio sostituisce il carbone. La nuova fonte energetica rappresenta una svolta epocale, contraddistinta dalla facilità dei processi di estrazione, trasporto ed immagazzinamento, nonché dall’elevata potenza sprigionata.

Basso prezzo ed elevata disponibilità sono fattori determinanti per sostenere quella tendenza alla crescita economica che prenderà spesso l’appellativo di ‘miracolo’.

(la rivoluzione della plastica durante il boom economico)

A spiccare è il comparto della petrolchimica, in grado di rivoluzionare la vita materiale quotidiana, dando i natali a gomma e fibre tessili sintetiche, fertilizzanti azotati e sostanze plastiche. Ma anche il settore della mobilità conosce un boom senza precedenti, grazie all’invenzione del motore a scoppio.

Le risorse energetiche acquistano un ruolo di rilevanza mondiale.  Iniziano ad essere considerate come il principale fattore di competitività nel sistema economico globale.

Fotoracconto

Energie vecchie e nuove pedalando lungo il Tirreno.

Percorsi in bici

Elenco dei percorsi in bici alla scoperta delle tracce di energia  lungo la futura ciclovia Tirrenica. Aiutateci ad arricchirlo con nuove proposte. segue…

Crisi energetiche

Il Novecento è il secolo in cui esplodono i consumi energetici mondiali: raddoppiano una prima volta nel quarantennio 1910-1950, una seconda volta nel ventennio 1950-1970, una terza volta nel periodo 1970-1990.

Si cominciano a delineare forti distorsioni nella distribuzione dei consumi globali: il 20% dei Paesi ricchi consuma il 60% dell’energia prodotta e commercializzata.

L’avvento del petrolio sposta gli equilibri consolidati con il carbone, accentuando la dipendenza tra le nazioni più energivore e i produttori di petrolio.

Lo strettissimo legame tra questione energetica e geopolitica emerge in tutta la sua forza con le crisi petrolifere che si succedono in pochi anni. Tra le motivazioni, spicca la difficoltà di sostituire il petrolio con altre fonti energetiche, per le crescenti rigidità tecnologiche. A questo, si aggiungono importanti cause politiche. La creazione dello Stato di Israele nel 1948 ed il suo rafforzamento nei territori della Palestina, grazie al sostegno degli Stati Uniti e contro il volere dei paesi arabi, gioca un ruolo decisivo affinché i paesi esportatori decidano di utilizzare il petrolio come arma di pressione politica ed economica.

Anche se il principale obiettivo sono gli Stati Uniti, la crisi petrolifera viene maggiormente avvertita in Europa. In Italia, in particolare, la fonte energetica più utilizzata è costituita dall’olio combustibile, che alla vigilia della prima crisi petrolifera rappresenta il 50% circa del totale consumo industriale.

Nel 1973 i paesi esportatori di petrolio quadruplicano unilateralmente il prezzo del petrolio, accumulando grandi profitti. Nasce il fenomeno dei “petro-dollari”: ingenti guadagni vengono reinvestiti in armi, tecnologie e in borsa.

Sull’Occidente, gli effetti della crisi petrolifera sono devastanti. L’aumento dei prezzi comporta un elevatissimo disavanzo pubblico, una incalzante disoccupazione e una pesante inflazione. I paesi maggiormente colpiti sono quelli estremamente dipendenti dalle importazioni di petrolio: Giappone e Stati europei rilevano un incremento dell’inflazione di ben 10 punti percentuali. In Italia il tasso supera il 20%.

(domeniche a piedi in Italia, 1973)

Nel 1979 c’è una seconda crisi petrolifera, legata al contrasto tra l’Iraq di Saddam Hussein e il nuovo regime khomeinista in Iran.

Nell’ultimo ventennio del XX secolo, la lotta ideologica della guerra fredda si trasforma in un conflitto globale: il petrolio è diventato una risorsa strategica ed è tutt’ora utilizzato come strumento di pressione politica ed economica nei confronti dei paesi consumatori, disposti a pagare il combustibile anche ad un prezzo esorbitante, pur di coprire il fabbisogno energetico interno.

Questione ambientale

Il ‘900 è un secolo fortemente ambivalente. Se da un lato è possibile assistere alla nascita della geopolitica dell’energia, la stessa Unione Europea è prima di tutto un’unione energetica, dall’altro lato, politiche di crescita sempre più energivore causano un depauperamento ambientale allarmante.

L’energia diventa un tema di grande attualità, a essa sono legate molteplici sfide globali e locali: rispetto dell’ambiente, lotta alle disuguaglianze, …

Già nel 1972 a Stoccolma, in occasione alla Conferenza delle Nazioni Unite, emerge la necessità di agire a livello internazionale. Davanti a un mondo altamente globalizzato, infatti, sarebbe impensabile continuare ad agire come singolarità. A Stoccolma, per la prima volta nella storia mondiale, la cooperazione tra gli stati partecipanti dà origine ad una nuova linea politica incentrata sulla tutela dell’ambiente, inteso come “patrimonio dell’umanità”.

Si riconosce il diritto e la responsabilità alla conservazione della natura, all’accorto utilizzo delle risorse, alla lotta contro le emissioni inquinanti.
Il principale obiettivo diventa lo sviluppo sostenibile, ossia il progresso industriale compatibile con le esigenze delle generazioni future. In quest’ottica, diventa fondamentale ridurre il consumo delle risorse e contenere l’inquinamento atmosferico, terrestre e marino.

Nel 1978 Jacques Yves Costeau propone una Carta dei diritti delle generazioni future, documento ratificato dall’ONU nel 1991. Il mondo, ora come allora, si trova a fronteggiare le stesse problematiche, con conseguenze probabilmente ancora più gravi.

(che negazionista sei?, Léonard Chemineau)

Nel 1992, a Rio de Janeiro, la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo definisce i primi impegni. Essa rappresenta la logica prosecuzione della Conferenza di Stoccolma di vent’anni prima. A Rio vengono approvate una Dichiarazione in tema di sviluppo sostenibile, due Convenzioni, l’una sui cambiamenti climatici e l’altra sulla biodiversità, e un Programma d’Azione definito “Agenda 21”.

L’incontro di Rio ha determinato la politica ambientale del XXI secolo relativamente alle scelte climatiche e alla diversità biologica, malgrado i numerosi ostacoli posti dai paesi partecipanti.

Dopo di allora e in maniera sempre più vasta, intensa e frequente, si svolgono importanti summit tra i paesi di tutto il mondo, con il preciso intento di riconsiderare il rapporto Uomo/Ambiente/Sviluppo.

L’obiettivo da raggiungere è esplicito: promuovere uno sviluppo economico responsabile, combinando la tutela ambientale con il soddisfacimento dei bisogni di una società in continua crescita.

Nel 1997 il Vertice di Kyoto cambia radicalmente le sorti della politica energetica, indicando la strada da percorrere per una urgente riconversione ecologica. Il Protocollo che ne scaturisce impone rigidi vincoli ai paesi aderenti in tema di riduzioni di gas serra, considerati i principali responsabili dei mutamenti climatici. Agli stati sviluppati, in primis, viene imposta la riduzione dei gas climalteranti. Diversi paesi si oppongono. L’adozione del Protocollo avverrà con 7 anni di ritardo.

Dalla Conferenza di Rio, alla Dichiarazione di Johannesburg passando per l’adozione dell’Agenda 21 e il quasi fallimento del Vertice di Tokyo. Svoltisi in momenti storici differenti, con nuovi o vecchi protagonisti e tra scenari internazionali in continua evoluzione, i summit della Terra sono accomunati da un unico obiettivo: la rivoluzione energetica, necessaria per compensare i limiti del petrolio e scongiurare ulteriori catastrofici danni ambientali.

Le emissioni climalteranti provengono principalmente dall’uso dei combustibili fossili (carbone, gas e petrolio), in Europa, legati per il 28% al trasporto.  La comunità scientifica ha ribadito con chiarezza come le attività umane, principalmente attraverso le emissioni di gas serra, abbiano inequivocabilmente causato il riscaldamento globale, con il raggiungimento della temperatura superficiale globale di 1,1°C al di sopra dell’era preindustriale.

Il cambiamento climatico innescato dall’uomo ha accentuato e potrebbe accentuare, soprattutto nel futuro, squilibri planetari. Scarsità e competizione per acqua e cibo, pericoli per la salute e benessere, biodiversità e ecosistemi, nonché per la sicurezza delle città e delle infrastrutture.

Negli ultimi anni si registrano  aumenti delle temperature e fenomeni estremi sempre più intensi (ondate di calore, alluvioni, …) diffusi in tutto il Pianeta. Fenomeni che mostrano ulteriori sintomi di accelerazione.

Il Green Deal europeo del 2019 prospetta il percorso verso la neutralità climatica e la transizione verso l’energia pulita, assumendo come obiettivi l’efficienza energetica e il miglioramento del rendimento energetico degli edifici, lo sviluppo di un settore energetico basato in larga misura sulle fonti rinnovabili, la garanzia di un approvvigionamento energetico sicuro e a prezzi accessibili e lo sviluppo di un mercato dell’energia pienamente integrato, interconnesso e digitalizzato.

Le conseguenze economiche dell’impatto della crisi climatica sono infinitamente superiori ai costi di qualsivoglia transizione. La sfida è quella di un drastico e rapido taglio delle emissioni di gas climalteranti nel più breve tempo possibile, insieme all’attuazione di piani e misure di adattamento ai cambiamenti climatici.
Siamo pronti alla rivoluzione verde?

(Centrale Montalto di Castro, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )

Carta generazioni future

Le generazioni future hanno diritto ad una Terra indenne e incontaminata, e a goderne quale luogo della storia dell’umanità, della cultura e dei legami sociali che assicurano l’appartenenza alla grande famiglia umana di ogni generazione e di ogni individuo. Ogni generazione, nel condividere in parte l’eredità della Terra, ha il dovere di amministrarla per le generazioni future, di impedire danni irreversibili alla vita sulla Terra nonché alla libertà ed alla dignità umana (dalla Carta dei diritti delle generazioni future, 1978)

Le generazioni presenti hanno la responsabilità di trasmettere alle generazioni future una Terra tale da non essere un giorno danneggiata irrimediabilmente per via dell’attività umana. Ogni generazione, che riceve temporaneamente la Terra in eredità, dovrà vegliare ad utilizzare in maniera ragionevole le risorse naturali e a fare in modo che la vita non sia compromessa dai mutamenti nocivi sugli ecosistemi e che il progresso scientifico e tecnico in tutti i campi non leda alla vita sulla terra. (dalla Dichiarazione sulle responsabilità delle generazioni presenti verso le generazioni future, 1997)

Approfondimenti

Giornata risparmio energetico

M’illumino di Meno è la “Giornata Nazionale del Risparmio Energetico e degli Stili di Vita Sostenibili” che Rai Radio 2 con Caterpillar organizza annualmente dal 2005 per diffondere la cultura della sostenibilità ambientale e del risparmio delle risorse.

Sei pronto a fare la differenza? Abbiamo stilato un decalogo di azioni che puoi mettere in pratica il 16 febbraio come forma di adesione a M’illumino di Meno. Siamo sicuri che il tuo impegno continuerà tutto l’anno! segue…

  1. Spegni e fai spegnere le luci: Di casa tua, del tuo ufficio, del tuo condominio e del tuo comune.
  2. Cena a lume di candela: Prepara una cena antispreco con ricette svuota-frigo e alimenti a basso impatto ambientale.
  3. Rinuncia all’auto: Cammina, pedala, usa i mezzi pubblici o la mobilità condivisa.
  4. Organizza un’attività di sensibilizzazione: Sui temi dell’efficienza energetica e della crisi climatica: parlane con gli studenti, con i colleghi, con i clienti.
  5. Pianta alberi, piantine, fiori: Perché sono macchine meravigliose per invertire il cambiamento climatico.
  6. Fai economia circolare: Metti in circolo gli oggetti che non usi più, per esempio con uno swap party.
  7. Condividi: Il viaggio in auto, il wi-fi… per ridurre i consumi e ottimizzare le risorse.
  8. Organizza un evento non energivoro: Un concerto unplugged, una sessione di allenamento a luci ridotte, una serata di osservazione astronomica.
  9. Fai efficientamento energetico: Rendi più sostenibile l’ambiente in cui vivi: sbrina il frigorifero, applica il rompigetto ai rubinetti…
  10. Abbassa il riscaldamento: Indossa un maglione pesante!

Energia Italia

All’epoca dell’unificazione, l’economia italiana sfrutta quasi esclusivamente le fonti tradizionali di energia, quali la legna ed il carbone di legna, che rappresentano il 50% della disponibilità energetica complessiva. Mulini a vento e ad acqua contribuiscono solo per l’1%. Il carbon fossile rappresenta meno del 7% del totale. Il restante contributo è dato dal lavoro di uomini e animali.

E’ possibile individuare tre fasi principali: una prima fase, che si conclude agli inizi degli anni ’50 del Novecento, che vede il carbon fossile al primo posto tra le fonti fossili; una seconda fase, che ha inizio nel 1953, quando il consumo di petrolio supera quello del carbon fossile; una terza fase, che segue la crisi energetica degli anni ’70, che vede l’affermarsi del gas naturale come fonte energetica, pur rimanendo il petrolio al primo posto.

Al momento dell’unificazione del Paese la produzione risulta ancora dominata da attività tradizionali quali l’agricoltura, la manifattura a domicilio e l’artigianato. L’industria vera e propria, benché non del tutto assente, si trova in una posizione assai marginale, nel nord-ovest, basata ancora essenzialmente sulle risorse idriche. Il carbone, nonostante il suo costo elevato, sta rapidamente guadagnando posizioni, sia nei trasporti, sia nelle industrie. Nel 1883 viene inaugurata a Milano la prima centrale elettrica a carbone dalla Edison, uno dei principali gruppi elettrici italiani.

(brevetto Auer, 1895)

Alla vigilia della prima guerra mondiale, i consumi di energia sono ancora bassi e la legna rimane la principale fonte di energia. Ciò anche a causa degli elevati costi del carbone: da cinque a dieci volte di più che nelle regioni di estrazione.

La povertà di risorse energetiche ha seriamente condizionato il processo di industrializzazione del paese, che ha seguito un percorso diverso rispetto ai paesi dove prima si è verificata la Rivoluzione industriale. L’Italia infatti si è specializzata in quei settori industriali ad alta intensità di manodopera, il fattore abbondante, e a bassa intensità energetica.

A partire dal 1898 si sviluppa in Italia la produzione di idroelettricità, fortemente voluta dalla politica autarchica del periodo fascista, mirata a ridimensionare la dipendenza energetica dall’estero. Tuttavia, il suo consumo non ha mai superato il 10% del totale, rimanendo secondaria rispetto al carbon fossile.

Fino alla prima guerra mondiale il petrolio gioca un ruolo marginale per il Paese. Sfruttato essenzialmente per l’illuminazione, con il nuovo secolo incomincia ad essere impiegato come combustibile nelle industrie. Poiché la produzione nazionale di petrolio è molto limitata, viene importato dall’estero, solitamente già raffinato, da due compagnie di fatto in regime di duopolio, la Siap e la Nafta, le filiali italiane delle più potenti multinazionali del settore, la Standard Oil of New Jersey e la Royal Dutch Shell. Qualche cambiamento interviene negli anni successivi alla prima guerra mondiale: grazie alla vittoria, l’Italia può incorporare due dei maggiori impianti di raffinazione dell’ex impero asburgico, situati a Trieste e a Fiume.

Lentamente il petrolio acquisisce maggior peso per l’economia italiana:  l’energia idroelettrica sta infatti perdendo di competitività rispetto a quella termoelettrica. Per tentare di ridurre la dipendenza dall’estero, nel 1926 viene creata l’ Agip (Agenzia Generale Italiana Petroli). L’obiettivo della nuova impresa pubblica è duplice: da un lato l’esplorazione, la ricerca e la produzione di idrocarburi, dall’altro la raffinazione e la distribuzione di prodotti petroliferi in Italia.

Alla vigilia del secondo conflitto bellico l’ Agip controlla il 30% della capacità di raffinazione del Paese. Nonostante questi sforzi, l’Italia soffre ancora di una pesante dipendenza dall’estero. Il problema energetico richiede soluzioni più complesse.

(Petroli d’Italia, Codognato 1925)

Al termine della seconda guerra mondiale, l’AGIP diviene il bersaglio del Comitato di Liberazione Nazionale, determinato a promuoverne la liquidazione, sia per via dei problemi economici che affliggono l’azienda, sia per la decisa volontà di porre fine ad un ente statale di eredità fascista.

A salvare l’AGIP da una sicura disgregazione è Enrico Mattei, il quale, promuovendone una ristrutturazione che la trasforma in ENI, imprime una decisa accelerazione all’attività esplorativa ed estrattiva nazionale.

L’industria del petrolio diventa un affare di stato e Mattei decide, scavalcando il monopolio imperante delle ‘sette sorelle’, di fare affari direttamente con i paesi produttori, presentandosi più come socio che come colono.

Le relazioni strette con i paesi comunisti e del Medio Oriente, per garantire all’Italia i rifornimenti di petrolio, incrinano i rapporti fra Mattei ed il governo italiano, timoroso di compromettere il legame con gli USA e con la Nato.

Nel clima di contrapposizione ideologica fra il blocco atlantista e filosovietico, gli accordi petroliferi che Mattei sottoscrive con i paesi al di là della ‘cortina di ferro’, rappresentano infatti un campanello d’allarme. La scalata di Mattei termina con un tragico incidente in aereo, dai risvolti ancora misteriosi.

Dal 1953 al 1973, durante il boom economico, i consumi di petrolio aumentano di ben 11 volte, coperti quasi completamente da impianti termoelettrici a olio, che risultano molto più competitivi degli impianti idrici.

Con l’impiego su vasta scala dei combustibili fossili, l’Italia guadagna posizioni rispetto ai paesi più avanzati, specialmente durante gli anni del «miracolo economico». Dal 1950 al 1973 il PIL pro capite è aumentato di tre volte, il consumo complessivo di energia di 4,5 volte e quello di fonti moderne di energia di circa sette volte.

La crisi energetica degli anni ’70 inverte i trend di crescita, con importanti conseguenze sugli equilibri politici, evidenziando la centralità dell’energia nello sviluppo delle società moderne e, al contempo, la situazione di vulnerabilità dettata dalla massiccia dipendenza dal petrolio importato da aree a forte instabilità politica e a legami di crescente conflittualità.

In seguito alla crisi petrolifera, in Italia aumentano notevolmente i consumi di gas naturale che, dal 1970 ad oggi, sono pressoché quintuplicati. L’avvio dello sfruttamento del gas naturale risale agli anni Cinquanta del Novecento, quando vengono scoperti importanti giacimenti nella Valle Padana. Tuttavia, a partire dagli inizi degli anni Settanta, per soddisfare la domanda interna, si ricorre in misura sempre crescente alle importazioni.

La velocità di penetrazione del gas naturale è davvero impressionante, di gran lunga superiore a quella del petrolio. Ragioni di convenienza ambientale ed economica hanno contribuito ad accrescere la domanda di gas naturale, che è molto meno inquinante rispetto agli altri combustibili fossili. Tuttavia, il petrolio rimane la principale fonte energetica. Nel 2000 rappresenta infatti il 54% del totale consumo di combustibile fossile.

La dipendenza energetica dell’Italia è notevolmente aumentata nel corso degli anni ed è passata da un valore di poco inferiore al 69% nel 1955 fino all’85 % nel 2002. La media europea è del 54% e solo Portogallo, Irlanda e Lussemburgo hanno un livello di dipendenza energetica più alto dell’Italia. A livello mondiale, l’Italia è al settimo posto nella classifica dei paesi che importano i maggiori quantitativi di petrolio.

Dal 1953 al 2001 i consumi finali di energia sono aumentati di circa 7 volte,  ma è soprattutto nel ventennio 1953-1973 che si è concentrata la maggiore crescita, poiché durante questo breve arco di tempo i consumi di energia sono più che quintuplicati.

(Vespa, 1946)

La risorsa idroelettrica si mostra oramai incapace di soddisfare le nuove esigenze legate al processo di industrializzazione; inoltre il basso costo del petrolio e le catastrofi naturali (l’indimenticabile strage del Vajont del 1963) spingono a ridimensionare l’ idroelettrico e contribuiscono ad accrescere la fiducia nello sviluppo delle centrali termoelettriche.

L’occupazione del canale di Suez del 1956, ancor prima delle crisi petrolifere nate dalla guerra del Kippur del 1973 e dalla rivoluzione iraniana del 1979, mette a nudo la fragilità del sistema economico italiano, basato sulla dipendenza dai combustibili fossili importati dall’estero.

Si spiega in tal senso l’innalzamento dell’interesse nei confronti dell’energia nucleare negli anni ’60. La promettente fonte energetica, nata per scopi militari, viene vista come la soluzione per ridurre la dipendenza e contenere i costi legati all’energia, in un contesto di crescente fabbisogno energetico.  Edison, IRI ed ENI realizzano tre diverse centrali a Trino Vercellese, Garigliano e Latina.

Nel 1966, le tre centrali portano l’Italia al terzo posto fra i principali produttori di energia elettronucleare, dopo Usa e Regno Unito (con una quota vicina al 4% della produzione elettrica nazionale).

In pieno boom economico, le politiche energetiche italiane rimangono però ancorate al petrolio, la cui quota sui consumi interni totali dei combustibili fossili cresce dal 29% al 75% in soli 20 anni. Questo anche grazie all’enorme vantaggio competitivo derivante dalla scoperta e dall’accesso ai giacimenti mediorientali, i quali, data la loro vicinanza geografica, hanno permesso all’Italia di acquisire l’energia ad un prezzo particolarmente vantaggioso.

La stabilità degli approvvigionamenti petroliferi è però minata dall’elevata instabilità geopolitica dei paesi con cui l’Italia ha stretto accordi commerciali in tal senso.

Esaurita la spinta del boom economico, viene alla ribalta la questione ambientale.

L’ambiente assume un ruolo di primo piano solamente con la Legge Merli del 1976, promulgata in seguito all’incidente di Seveso. La stessa carta costituzionale enuncia la “tutela del paesaggio, del patrimonio storico ed artistico della Nazione”, sottolineandone l’altissimo valore estetico, piuttosto che la concreta rilevanza ai fini della sopravvivenza umana.

Negli anni ’70, la storia della penisola è insanguinata dal terrorismo. In tale contesto, le crisi petrolifere contribuiscono ad aggravare la crisi economica, imponendo un cambio di rotta nella strategia energetica italiana: riprendere lo sfruttamento del carbone e diversificare le fonti di approvvigionamento.

Il petrolio entra nella propria fase calante, progressivamente sostituito dal gas naturale, che passa dal 13,7% del 1953 al 34,8% del 1989. Gli alti costi per l’importazione dall’estero dei combustibili fossili penalizzano l’Italia nei settori energivori che traino l’economia mondiale (siderurgico, metallurgico, …), costringendola a specializzarsi nei filoni industriali ‘leggeri’ (meccanica, tessile, abbigliamento, …) da gestire con la forma della piccola impresa.

Alle difficoltà interne contribuiscono anche gli ostacoli che la Comunità Economica Europea incontra nel tentativo di varare una politica energetica comunitaria. Ogni stato membro, infatti, preferisce determinare autonomamente la propria politica, essendo il settore dell’energia altamente strategico.

Nel frattempo, l’incidente del 1979 alla centrale di Three Miles Island getta le prime ombre sulle centrali nucleari. Nel 1985 si introduce il vincolo paesaggistico, per garantire la tutela e la conservazione del paesaggio, sempre più spesso devastato dalla creazione di opere pubbliche (strade, dighe, centrali, ecc.). Nel 1986, con l’istituzione del Ministero dell’Ambiente, si individuano le “aree ad alto rischio ambientale”. Lo stesso anno esplode il reattore di Chernobyl. Una catastrofe che segna per sempre la storia della politica energetica mondiale.

Nasce il movimento antinucleare e, nel 1987, il governo italiano convoca a Roma la prima ‘Conferenza nazionale su energia e ambiente’, con l’obiettivo di valutare la compatibilità delle centrali nucleari con la sicurezza del Paese. Il Piano Energetico Nazionale prevede, infatti, la realizzazione di nuove centrali entro il 2000. Nonostante dalla conferenza emerga un parere favorevole al nucleare, la campagna mediatica avversa spinge il governo a indire un referendum. Con la vittoria del “Sì”, il nucleare diventa un argomento tabù, fonte di perdita di consensi. Ne è un esempio il governo democristiano di Giovanni Goria, presidente del Consiglio dal 1987 al 1988, la cui decisione di mantenere attivo un presidio nucleare riaprendo i cantieri per la costruzione di una centrale a Montalto di Castro, decreta la caduta del governo.

Il partito dei Verdi si fa portavoce del movimento antinuclearista. Il Partito Socialista, dapprima favorevole al nucleare, si schiera apertamente contro di esso e individua nell’incidente di Černobyl il pretesto per giustificare la migrazione verso il ben più conveniente metano.

Vengono chiuse le quattro centrali in funzione nella penisola (Trino Vercellese, Latina, Caorso e Montalto di Castro) e bloccata la costruzione della centrale di Trino 2. Si avvia inoltre la ricerca di siti di stoccaggio per lo smaltimento di rifiuti radioattivi. Il referendum del 1987 argina i potenziali rischi dell’energia nucleare (tuttavia perduranti a causa dello sfruttamento di questa risorsa da parte di Francia e Svizzera), ma rende sempre più evidente il grave ritardo dell’Italia nell’elaborazione di una strategia energetica alternativa.

La crescente dipendenza dal petrolio e dal metano, forniti rispettivamente dalla Libia e dall’Algeria, abbinata ad una produzione di energia nucleare prossima allo zero, comporta un consistente aumento della vulnerabilità dell’Italia.

L’incremento della domanda di energia spinge nello sviluppo delle rinnovabili. Nel 1984 l’Enel inaugura le prime due centrali alimentate da fonti energetiche rinnovabili: nell’Alta Nurra la centrale eolica, quella fotovoltaica nell’isola di Vulcano.

Il 12 giugno 1990 viene approvata la mozione che invita a spegnere definitivamente gli impianti nucleari italiani al fine di avviare le operazioni di decommissioning.

(Centrale nucleare di Montalto, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )

Centrali sul Tirreno

Giganti di ferro e cemento si stagliano all’orizzonte, immersi nel silenzio della natura, affacciati sull’immenso mare. Andiamoli a scoprire insieme pedalando lungo la futura CicloVia Tirrenica.

In Toscana:

  • Parco Eolico foce del Cornia
  • Centrale termoelettrica Torre del Sale. In servizio dal 1977 al 2012, oggi è oggetto di vendita per la riqualificazione del sito in chiave di sostenibilità a vocazione turistica, ambientale e commerciale.

L’Alto Lazio è ormai, da alcuni decenni, il polo energetico più grande d’Europa. Tra Civitavecchia e Montalto di Castro, in un raggio di neanche 50 Km, esistono ben tre centrali per la produzione di energia elettrica. Una presenza così massiccia di centrali elettriche ha alterato nel tempo le condizioni ambientali e sanitarie della zona.

  • Torre Valdaliga  Sud, recentemente ristrutturata per la produzione a gas a ciclo combinato, ma che sino a poco tempo fa bruciava olio combustibile;
  • Torre Vandaliga Nord, che per vent’anni ha funzionato ad olio combustibile ed ora sta per essere convertita a carbone. E’ al primo posto assoluto tra gli impianti italiani per emissioni. Tra le 30 aziende che emettono più gas serra nel Continente, 22 sono impianti termoelettrici e tra questi, la centrale di Torrevaldaliga Nord, oltre ad essere prima in assoluto per l’Italia e al 14° posto tra le aziende con maggiori emissioni climalteranti in Europa.
  • la centrale Alessandro Volta di Montalto di Castro è alimentata a gas e ad olio combustibile. Sta però giungendo all’esaurimento del suo ciclo di vita e quindi, anche per essa, non si può escludere la soluzione carbone.

Il carbone, fra i combustibili fossili, è indubbiamente quello più inquinante e allo stato attuale non esistono tecnologie che consentano l’abbattimento degli inquinanti più pericolosi, quali i metalli pesanti (arsenico, cadmio, nichel, mercurio), tantomeno delle polveri ultrafini, che rischiano di veicolare le sostanze tossiche anche in un raggio molto ampio. Le emissioni radioattive di una centrale a carbone sono maggiori rispetto a quelle di una centrale nucleare.

La presenza di questi impianti è un pericolo anche per il patrimonio culturale di quest’area, che è notevolmente ricco: le necropoli etrusche di Tarquinia e Cerveteri sono state inserite da pochi anni nella lista dei beni dell’Unesco come patrimonio dell’umanità. (Testo estratto da “Salviamo la Maremma”, Italia Nostra…).

Nel basso Lazio c’è invece la Centrale Nucleare di Latina che, fino alla chiusura, decretata dopo il referendum sul nucleare del 1987,  ha prodotto circa 26 miliardi di chilowattora. Nel 1958 era la più grande d’Europa; usava una tecnologia sperimentale a uranio naturale, moderato con grafite, raffreddato a gas con anidride carbonica. Dopo aver caricato circa 38 tonnellate di combustibile all’interno del nocciolo, il 27 dicembre 1962 il reattore raggiunge la criticità, rendendo così la centrale nucleare dell’ENI di Latina il primo impianto atomico ad entrare in funzione in Italia, battendo sul tempo IRI ed Edison. La spesa per smantellarla è pari a 270 milioni. Ma il progetto non arriva fino a demolire ogni ricordo della centrale atomica: manca il deposito nazionale in cui conservare le scorie nucleari.

Extra

Percorsi tematici

> Spiagge, fari, pinete, zone umide, promontori, miniere, …. quante storie siete pronti ad ascoltare? Il Tirreno è un teatro che racconta mille incontri. Le memorie storiche si intrecciano con gli scenari naturali, imprimendo a terra tracce da rievocare, un pedale alla volta. Seguendo in bici il mare e i suoi tematismi. segue...

Letture

> Mostri marini, saline, bonifiche, colonie estive, divinità, boom economico, idrovolanti, ferrovie, .... Storie impigliate sotto costa o affondate in alto mare, sferzate dai venti o cullate dalle onde. Tante letture da sfogliare in compagnia del Tirreno. segue...

Il vostro contributo

> Innamorat@ anche voi delle pedalate vista mare? Date una occhiata al progettoZERO e alla squadra operativa. Partecipate con passaparola, proposte, feedback, ... Le amministrazioni non vedono le potenzialità di un percorso ciclabile lungo il Tirreno? Mostriamo loro il contrario. Facciamo conoscere insieme la bellezza delle nostre coste. segue...

(Centrale di Civitavecchia, dalla collezione fotosferica Tirrenica360... )